Con l’ordinanza 2815 del 21 agosto 2025 la Corte di cassazione ha confermato il recesso per giusta causa intimato nel 2017 a un dirigente, respingendo il suo ricorso contro la sentenza d’appello che gli aveva dato torto e consolidando un orientamento rigoroso sul rapporto tra fiducia e comportamenti extra lavorativi.
Il caso riguardava una serie di operazioni contabili riconducibili alla gestione di sponsorizzazioni sportive, che avevano dato luogo a fatture false e a un sistema extracontabile finalizzato a vantaggi personali.
Secondo i giudici di merito, tali condotte avevano prodotto un’alterazione delle dichiarazioni fiscali e un danno per l’erario.
Al dirigente era stato inoltre contestato di non avere informato i nuovi amministratori subentrati, aggravando la lesione del rapporto fiduciario. La difesa aveva insistito sull’irrilevanza disciplinare dei fatti, sostenendo che si trattasse di condotte extra lavorative, realizzate con l’avallo dei precedenti vertici societari e comunque anteriori alla cessazione della carica di amministratore.
La Cassazione ha ritenuto infondate le argomentazioni ribadendo che non può assumere rilievo la tolleranza o addirittura la partecipazione della proprietà: l’ordinamento non legittima comportamenti contrari alla legge solo perché condivisi dai vertici societari.
Nella motivazione, la Cassazione ha richiamato i principi consolidati in tema di proporzionalità tra addebito e sanzione, ricordando che la giusta causa può derivare anche da comportamenti estranei alla prestazione, purché di gravità tale da rendere irrealizzabile la prosecuzione del rapporto, in questa prospettiva, l’illecito fiscale, pur commesso nella qualità di amministratore, non perde rilievo disciplinare quando incide direttamente sulla vita della società e si riflette sull’affidabilità del dirigente.
I giudici hanno richiamato precedenti consolidati, secondo cui la creazione di fondi occulti e la falsificazione della contabilità sono condotte sempre antigiuridiche, in quanto violano valori ordinamentali primari, a prescindere dalla loro rilevanza penale.
Il concetto di “antigiuridico” va inteso come ciò che contrasta con l’intero ordinamento giuridico e con le regole minime di correttezza e lealtà che presidiano i rapporti economici. Di conseguenza: non assume rilievo che il dirigente non fosse più amministratore al momento del licenziamento.
La condotta pregressa resta idonea a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, e tale lesione non si estingue con la cessazione della carica. Il rapporto dirigenziale, fondato su un vincolo fiduciario particolarmente intenso, non può reggere se il lavoratore ha dimostrato di utilizzare il proprio ruolo in conflitto con gli interessi aziendali.
La decisione conferma un orientamento di rigore: la nozione di giusta causa non si limita al perimetro contrattuale ma abbraccia qualsiasi comportamento che, per la sua gravità, renda impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Per i dirigenti, chiamati a un grado massimo di lealtà e correttezza, il controllo giudiziale è ancora più severo.
Alfredo Magnifico