La disuguaglianza? Si sconfigge con l’impresa sociale

Secondo i dati raccolti dal Tiresia Social Impact Outlook nel 2018, sull’espansione delle disuguaglianze, risulta che è in costante aumento la disponibilità di capitali per lo sviluppo di imprese ad impatto sociale, grazie ad un’offerta di finanza sotto forma di credito o investimenti in equity di oltre 210 milioni di euro, includendo l’offerta di finanza sostenibile secondo i criteri di Environmental and Social Governance gli asset under management si arriva a 6,5 miliardi di euro.

L’Espresso tempo fa ha pubblicato un’inchiesta “L’Economia della conoscenza sta uccidendo la nostra provincia” ricerca di due economisti, Joan Rosés, professore della London School of Economics, e Nikolaus Wolf, capo economico alla Humboldt University di Berlino; creatori un algoritmo in grado di definire, in quali luoghi si sta accumulando la ricchezza, cioè le città che hanno fatto il vuoto intorno a sé con il dilagare della diseguaglianza frutto dell’avvento dell’economia della conoscenza, che vede l’accentramento di ricchezza in città e il dilagare di povertà in periferie e province. La diseguaglianza si supera stimolando imprese sociali, cooperative, società no profit, che hanno le potenzialità per invertire la rotta delle diseguaglianze.

Il report di Tiresia indica nelle organizzazioni ad impatto sociale segnali di dinamismo verso l’innovazione tecnologica: il 9% ha un’intensità tecnologica medio-alta in un settore, come quello del sociale, tradizionalmente labour intensive, che consente di leggere la presenza di forme di social-tech, imprese sociali connotate da utilizzo di tecnologia per risolvere sfide e problemi sociali, nel caso italiano, le forme meno tradizionali di impresa a impatto sociale come le start-up innovative a vocazione sociale, le cosiddette sia.

Le società benefit sembrano mostrare un livello di intensità tecnologica generalmente elevato: circa due quinti delle siav mostrano un’intensità tecnologica alta o media, il 20,79% è localizzato in aree marginali, le cosiddette aree interne, la densità appare tendenzialmente omogenea sia nei centri che nelle periferie: 1,55 imprese a impatto sociale ogni 100 mila abitanti e 1,36 nelle aree interne,

Nei grandi centri urbani e nelle aree interne gli imprenditori a impatto sociale sono particolarmente istruiti:in periferia il 55% ha una laurea di primo o secondo livello,nei centri il 56%, dato incoraggiante che sottolinea un potenziale di competenze per affrontare le sfide tecnologico e finanziario, lo sviluppo del terzo settore e delle aziende di questo tipo rappresenta la risposta e la soluzione per frenare l’espansione delle disuguaglianze. «I dati confermano la potenzialità delle imprese ad impatto sociale, come infrastruttura sociale diffusa. Facendo leva sulla capacità di queste organizzazioni di intervenire sul territorio in maniera capillare, da essere utilizzate come motore di un nuovo sviluppo industriale inclusivo, in grado così di arginare le conseguenze delle disuguaglianze attraverso nuove forme di impresa sociale.

Alfredo Magnifico

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