Allarme Istat su imprese e salari: Italia sempre più vecchia e povera

Istat lancia un allarme; il mancato ricambio generazionale, gli stipendi troppo bassi e il saldo negativo di capitale umano rischiano di mettere in crisi l’economia.

Il sistema economico italiano è esposto alle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, il fenomeno si riversa tragicamente sul tessuto imprenditoriale del Paese.

L’invecchiamento e il rischio di mancato ricambio generazionale riguarda il 30% delle imprese, in larga parte micro-attività, diverse imprese, spesso, non sopravvivono al pensionamento del titolare: per cui esce dal mercato non solo il lavoratore ma anche il datore di lavoro.

Le imprese più vulnerabili sono quelle a più basso livello di scolarità e minore propensione all’innovazione, succede, nel commercio tradizionale, nella manifattura a bassa tecnologia e nei servizi alla persona, dove l’età media degli occupati è più alta rispetto alla media generale, che è attorno ai 45 anni.

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Uno spiraglio positivo arriva dalle nuove imprese, i giovani risultano, maggiormente, impiegati in contesti dinamici e tecnologici, nel 2022 gli occupati sotto i 35 anni raggiungevano il 36% nelle imprese con meno di 5 anni e gestite da imprenditori giovani, fino a quasi il 40% nelle attività dei servizi ad alta tecnologia, sono proprio queste le imprese innovatrici e più digitali, dove il capitale umano qualificato sotto i 35 anni si è rivelato un elemento cruciale.

L’Italia Paese attrattivo per gli stranieri, con l’immigrazione compensa in parte il deficit dovuto alla dinamica negativa di nascite e di fughe di giovani, infatti, nel 2024, le immigrazioni dall’estero hanno superato le 435mila unità, più del doppio delle emigrazioni, con un saldo positivo di 244mila persone, tuttavia, la quota di stranieri residenti in Italia, circa l’11%, resta inferiore rispetto ad altri Paesi europei: più del 20% in Germania, il 18% in Spagna o il 13-14% in Francia.

L’Italia continua a perdere capitale umano prezioso, circa 97mila laureati italiani, hanno lasciato il Paese nel corso dell’ultimo decennio, al netto dei rientri, sono un significativo deficit di capitale umano qualificato, solo nel 2023, si sono registrati 21mila espatri di laureati tra i 25 e i 34 anni (+21,2% rispetto all’anno precedente), a fronte di appena 6mila rientri, ne deriva una perdita netta di circa 15 mila giovani risorse qualificate di cittadinanza italiana.

Considerando i giovani in possesso di un titolo di studio terziario, il saldo tra stranieri in entrata e italiani in uscita è positivo ed a favore dell’Italia, un segnale che va letto come opportunità, ma che non elimina il problema di fondo: il contesto lavorativo nel nostro Paese resta spesso penalizzante per i giovani.

Nel 2024 quattro dipendenti su dieci erano a tempo determinato (il 39,4%); la percentuale più elevata tra i Paesi dell’Ue dopo l’Olanda (52,3%), e maggiore di 6,1 punti al valore della media Ue (33,3%).

La precarietà è sinonimo di retribuzioni basse: nel 2022, la retribuzione oraria dei giovani italiani fino a 29 anni era inferiore a quella della media Ue (11,7 rispetto a 13,4 euro), anche a parità di potere d’acquisto.

Il governo, strombazza un aumento del potere d’acquisto, ma la straordinaria crescita dei prezzi al consumo osservata dalla seconda metà del 2022 ha determinato un’importante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni; solo a partire dal quarto trimestre 2023 si è osservato un progressivo recupero.

Nel 2024, i salari contrattuali sono saliti del 3,1%, con una crescita dei prezzi contenuta all’1,1%, permettendo un lieve recupero, ma le retribuzioni contrattuali reali di aprile 2025 sono comunque ancora inferiori di circa il 9% rispetto a quelle di gennaio 2021.

Nei primi mesi del 25 la tendenza positiva prosegue: le retribuzioni contrattuali crescono del 3,8% e la dinamica inflazionistica si ferma all’1,9%. Inoltre, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie per l’intera economia registrerebbe, nella media del 2025, un incremento superiore al 3% che permetterebbe, se si confermasse l’attuale dinamica dei prezzi, un ulteriore recupero di potere di acquisto, ma le crisi belliche fanno presupporre altro.

Alfredo Magnifico

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