Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni 90′: Sergio Mastroianni



di Stefano Manocchio

La sua permanenza a Campobasso è stata breve e dalla chiacchierata-intervista pare che più o meno ciò fosse già stabilito. Sergio Mastroianni arrivò dalle nostre parti con un curriculum di eccellenza (che poi, come vedremo, è proseguito su livelli altissimi) e nonostante l’impegno in campo limitato ad un solo campionato, comunque ha ricordi della città e della società.

Come è avvenuto il suo passaggio con la squadra campobassana?

“Venivo dall’esperienza in A1 con la Juve Caserta, poi con la Viola Reggio Calabria in serie B e l’idea fu allora di rimanere ancora un poco nella serie cadetta per giocare da protagonista. Si era creata l’opportunità di giocare a Campobasso oppure a Mestre; scelsi la destinazione più vicina a casa. Mi sono trovato bene nel capoluogo molisano”.

Sergio Mastroianni ai tempi della Fantoni Udine

Cosa puoi dirci della società e del suo modello organizzativo?

“La società faceva perno soprattutto sui due fratelli Di Vico e lo sponsor era La Molisana; l’allenatore era Contini, che però fu sostituito a campionato in corso da Romito. Facemmo un discreto campionato (ma alla fine fallì il tentativo di andare in B d’eccellenza, ndr); forse era una squadra con molti doppioni e questo fatto creò una certa insoddisfazione. Ricordo i miei compagni di squadra, da Romito a Corazza, Basso Lanzone, Brghi, De Witt, Citro, Uniti, Cardinale e gli altri; e poi Gianni Tassi persona speciale. Ero in prestito da Caserta e poi ho proseguito la mia carriera con alcuni passaggi in serie A”.

Per capire come Campobasso sia stata una tappa intermedia per il giocatore un occhio al suo curriculum: Brindisi, Rieti, Udine, Venezia, Sassari, Napoli ed Avellino. Città importanti per il basket nazionale.

“Poi sono tornato in Molise- continua Mastroianni – per giocare ad Isernia in serie C, dove mi sono trovato molto bene ed è stata un’esperienza bella dal punto di vista umano”

Che ricordo ha della città di Campobasso?

“Allora ancora non c’era l’università e la città era poco viva, nel senso che arrivati ad una certa ora chiudevano i locali ed era deserta; i giovani frequentavano l’università soprattutto a Roma e comunque fuori regione. C’era poca vita sociale e la domenica sera rientravamo a casa. Ricordo bene, invece il ristorante ‘da Mario’, dove si mangiava bene e dove andavamo sia noi che i calciatori della serie B; con loro si creò un bel rapporto di amicizia. Il pubblico alle partite era caloroso, ma il Palavazzieri non era molto capiente ed io ero abituato a giocare in impianti molto più grandi”.

Vogliamo ricordare qualche episodio?

“Mi sono ritrovato a guidare con la neve e io non ero abituato: rischiai di andare a sbattere. Per la prima volta comprai le catene, a Bojano e quell’esperienza non fu piacevole, ma alla fine per fortuna riuscii ad evitare l’incidente”.

Nel 2012 la partita delle ‘vecchie glorie’

“E’ stato bello: ho rivisto Giarletti, Uniti ed altri. La ricordo come un momento bello”

Crede che sia replicabile quell’esperienza per il basket maschile campobassano?

“Potrebbe essere replicabile, ma non nel breve periodo; ci vorrebbe una programmazione di almeno cinque o sei anni a patto di cercare prima qualcuno in grado di portare avanti un discorso così importante. Tutti sognano per un anno di vivere una stagione importante; ma per durare nel tempo ci vuole passione e mezzi economici e ci vuole chi abbia entrambe le cose per fare in modo che raggiunto il successo poi non si torni indietro”.

Dopo l’attività di giocatore è rimasto nel mondo del basket?

“No, sono avvocato, ma anche mio figlio gioca a basket”.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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