Italicum, Campopiano: questo modello sopravviverà al prossimo scossone degli equilibri politici nazionali?

 Sono trascorsi venticinque anni da quando Mario Segni avviò la sua vittoriosa campagna referendaria per il passaggio dalla preferenza plurima a quella singola, così limitando di fatto il potere dei Partiti politici nell’orientare il voto degli elettori  Da allora altre due  modifiche della legge elettorale, il “Mattarellum”  ed  il “Porcellum” hanno segnato questo quarto di secolo fino all’ITALICUM.La legge del 1993, promulgata  sotto la guida di colui che nel 2015 sarebbe stato eletto  capo dello Stato, sebbene fosse stata uno degli ultimi atti della prima Repubblica ormai agonizzante, era forse la più equilibrata, sia rispetto al Porcellum, introdotto in fretta e furia dal governo Berlusconi nel 2006 nell’intento di contenere i danni nella ipotesi di una probabile sconfitta, sia rispetto all’Italicum che, pur correggendo le storture del porcellum, ne lascia sostanzialmente  invariato l’impianto.
Ma la tanto vituperata legge del Porcellum conferiva ai segretari  di partito la possibilità di scegliersi gli eletti e gli apparati a loro piacimento e così modellare i gruppi parlamentari secondo le proprie esigenze. Il provvedimento era talmente una “porcata” ( così venne definita dallo stesso relatore-estensore) che anche Veltroni prima e Bersani poi  la utilizzarono per soddisfare le loro esigenze elettorali. Solo la Corte Costituzionale ha posto, sebbene tardivamente,  fine a quell’obbrobbrio.
Certo è che nemmeno il percorso dell’Italicum è stato lineare. Nel tempo un po’ tutti i protagonisti hanno cambiato idea secondo le necessità e convenienze del momento. Lo stesso Renzi che ha sempre ritenuto che le leggi elettorali, per la loro rilevanza, dovessero essere approvate a larga maggioranza, si è blindato con reiterati voti di fiducia. Dal canto loro Bersani e Cuperlo che per decenni hanno demonizzato il voto di preferenza, lo hanno fatto diventare negli ultimi tempi un baluardo da difendere a tutti i costi come l’unico elemento di democrazia rappresentativa .
La vicenda complessiva evidenzia lo scarso senso dello Stato di gran parte della nostra classe dirigente, incapace di pensare  al di la delle convenienze del momento.  Mi riesce davvero difficile però , immaginare che le riforme elettorali ed ancor piu’ quelle costituzionali ( cui quelle elettorali sono strettamente connesse) possano essere pensate per l’utilità presente, anziché per il futuro. Nè mi rassegno all’idea che se è ormai questo il nostro modello di democrazia bisognerà necessariamente …navigare in questo mare.
Se è vero che  il modello Renziano di “democrazia decidente” è apprezzato dall’opinione pubblica come esempio di determinazione, ciò non toglie che lo stesso decisionismo andrebbe esteso ed  applicato in tutti i campi, dalla economia , alle istituzioni, dalla scuola, alla sanità , al lavoro, con proposte e progetti condivisi e convergenti, che siano innanzi tutto capaci di offrire  soluzioni concrete, efficienti e   durevoli  .
Ma è altrettanto vero che una cosa è “amministrare” gli enti locali, ove può trovare giustificazione non solo il premio di maggioranza, ma anche  il ridimensionamento  delle assemblee elettive, altra cosa è il Governo del Paese ove, di contro,  l’esigenza di rappresentanza e di partecipazione va garantita nella maniera più ampia e capillare possibile come elemento di democrazia e di libertà.
In Italia si è deciso di  adottare il modello dei Comuni nel presupposto dichiarato di garantire la …governabilità anche a scapito della rappresentanza e della partecipazione. Staremo a vedere se questo modello sarà capace di superare indenne e di sopravvivere al prossimo scossone degli equilibri politici nazionali.

Oreste Campopiano   

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