Istat: in Italia in 4,5 milioni in povertà assoluta. Pil pro capite: -24% sulla Germania

Il mercato del lavoro migliora, ma il tasso di occupazione è migliore solo di quello greco. Le imprese arrestano la perdita di competitività, ma l’Italia resta in fondo alla graduatoria  www.repubblica.it

“Cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo” e scoprire ancora una volta che dal punto di vista economico tante persone non se la passano bene. E’ quello il titolo alla consueta pubblicazione che l’Istat dedica all’Italia, fotografandola in numeri e in settori trasversali. Tra le cifre che balzano subito all’occhio ci sono quelle su povertà e lavoro: sono più di 8 milioni gli italiani poveri, dei quali circa 4 milioni e mezzo vivono in condizioni di povertà assoluta, non possono cioè acquistare il minimo indispensabile per vivere.

Il ritardo sull’Europa. Gli statistici partono da un’amara considerazione: anche se gli indicatori nel complesso migliorano, i passi avanti italiani sono sempre meno di quelli dei partner europei con l’esito di sfigurare in una comparazione continentale (salvo qualche eccellenza). Questo è vero soprattutto per i mali storici del Belpaese: la produttività, l’economia della conoscenza, della formazione e il mercato del lavoro. Una menzione positiva va all’eccellenza agroalimentare e alle imprese del settore, così come la tutela dell’ambiente e i progressi fatti sul fronte della sostenibilità e dell’energia. La salute e il welfare sono buoni, ma la demografia ci gioca contro: l’indice di vecchiaia è secondo solo alla Germania.

Analizzando la situazione economica delle famiglie, l’Istat rileva che nel 2015 l’11,5 per cento della popolazione viveva in “condizioni di grave deprivazione”, 3,4 punti sopra la media europea per il nono posto tra i Paesi con i valori più elevati. La povertà assoluta coinvolgeva il 6,1% delle famiglie residenti, 4 milioni 598 mila individui. Di buono c’è che l’anno scorso la quota di persone soddisfatte del proprio bilancio familiare (50,5%) è cresciuta per il terzo anno di fila, in particolare nel Centro-Nord dove è arrivata al 56,4%. Restano problemi di diseguaglianza, misurata in termini di concentrazione del reddito: è più elevata in Sicilia e più bassa nelle regioni del Nord-est.

I conti pubblici dicono che nel 2015 il Pil pro capite italiano è ancora sotto il livello del 2012 e – depurato dei diversi prezzi tra i Paesi Ue – è inferiore del 4,5% rispetto a quello medio dell’Ue, più basso di quello riferito a Germania e Francia (rispettivamente del 23,6 e 9,2%) e superiore del 5% al prodotto interno lordo spagnolo pro capite. Tra il 2010 e il 2015 la produttività del lavoro italiana è aumentata dell’1,1%, un ritmo decisamente inferiore a quello medio europeo (+5,1%) e dei principali paesi. L’indebitamento pubblico (2,4% del Pil) del 2016 è allineato al resto del Vecchio continente mentre la pressione fiscale – scesa al 42,9%, in riduzione di 0,7 punti – ci pone tra quelli con i valori più elevati, superati tra i maggiori partner solo dalla Francia.

Il mercato del lavoro, nonostante i recenti miglioramenti, relega la Penisola in fondo alla graduatoria Ue: solo la Grecia ha un tasso di occupazione inferiore al 61,6% italiano (in Svezia si supera l’80%). E’ poi un dato disomogeneo: è forte lo squilibrio di genere a sfavore delle donne (71,7% gli uomini occupati, 51,6% le donne) come il divario territoriale tra Centro-Nord e Mezzogiorno (nell’ordine 69,4% e 47,0%). Che l’effetto positivo della decontribuzione del 2015 sia andato scemando è testimoniato dal fatto che l’anno scorso l’incidenza del lavoro a termine è rimasta invariata al 14%. Se il tasso di senza lavoro è sceso all’11,7% lo scorso anno (-0,2 punti), quello dei giovani di 15-24 ha perso 2,6 punti fino al 37,8%. Ma con casi-limite nel Mezzogiorno (51,7%), soprattutto in Calabria dove arriva al 58,7%, e fra le ragazze (54,4%). Situazioni così critiche come la nostra si trovano in Grecia, Spagna e Croazia: insieme all’Italia presentano valori dell’indicatore all’incirca doppi rispetto a quello medio europeo (20,4%, dati 2015). Preoccupa anche il tasso di mancata partecipazione: sono disponibili a lavorare ma non cercano 21 persone su cento contro le dodici della media Ue.

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