I dazi concordati con Trump saranno un duro colpo per le imprese italiane ed europee: al di là dell’accondiscendenza del nostro attuale governo, che lo vede come una non sconfitta, l’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, ha lasciato un retrogusto amaro e sarà una tranvata per le imprese italiane.
Il nuovo sistema tariffario prevede dazi del 15% su una vasta gamma di beni industriali ed è stato subito definito un “colpo molto pesante” per il nostro export.
A lanciare l’allarme sono le associazioni dell’artigianato e dell’industria manifatturiera, che fotografano con chiarezza l’ampiezza del danno: 25.037 imprese italiane esportano stabilmente verso gli Usa e solo nel 2024 hanno generato un valore di vendite pari a 56,4 miliardi di euro.
Le nuove tariffe mettono a rischio due pilastri dell’industria italiana: la moda e la meccanica, settori fortemente radicati nel tessuto delle piccole e medie imprese.
L’Europa non ha giocato il ruolo che avrebbe potuto e dovuto giocare, l’introduzione di questi dazi e che si abbatteranno come una mannaia sul lavoro e sul sistema, delle imprese, di riflesso a subire le negatività saranno i lavoratori e i consumatori .
La logica dei dazi è il tentativo di Trump di far pagare la crisi dell’economia americana a noi europei, loro hanno un debito altissimo.
Gli impegni previsti di comprare più gas e più armi negli Stati Uniti vuol dire che si tagli alla spesa sociale o da altre parti, così come comprare il gas e armi dagli Stati Uniti significa continuare a pagare un prezzo molto pesante.
Con l’intesa ratificata la Cna stima che, ai 67 miliardi di export diretto verso gli Usa, vadano sommati almeno altri 40 miliardi di flussi indiretti, composti in gran parte da beni intermedi prodotti da piccole imprese italiane nei settori colpiti dai dazi.
Cna sintetizza l’impatto con un’espressione eloquente: “Si scrive 15% ma si legge 30%”, per il rischio di una doppia penalizzazione, oltre al rincaro dei prezzi dovuto ai dazi, le imprese devono affrontare anche l’apprezzamento dell’euro sul dollaro (+15% negli ultimi mesi), che riduce ulteriormente la competitività.
Il Centro Studi di Confindustria aveva calcolato le possibili conseguenze prima della firma dell’accordo: le imprese italiane rischiano 22,6 miliardi di euro in minori esportazioni verso gli Usa, una parte, 10 miliardi potrebbe essere recuperata ampliando la presenza su altri mercati.
Un saldo fortemente negativo, soprattutto per un sistema produttivo che ha fatto dell’export una leva di crescita, resilienza e innovazione.
Se Unimpresa tenta di ridimensionare l’impatto sostenendo che solo un terzo delle aziende italiane esporta in America, il problema resta concreto per migliaia di piccole realtà già sotto pressione.
Mentre le imprese premono sul governo per avere “sostegni e compensazioni”, la stessa premier sollecita oggi l’Europa per i sussidi, si fa strada la richiesta da parte delle associazioni di un ritorno urgente al confronto politico sul tema export. Palazzo Chigi è chiamato a riattivare il tavolo di lavoro dedicato, non solo per gestire l’emergenza, ma per affrontare una questione strutturale: come difendere il lavoro e il valore aggiunto italiano in un contesto internazionale sempre più instabile.
Il nostro export non è un dato statistico, ma la somma di storie, competenze e territori, proteggerlo significa proteggere il cuore produttivo del Paese, per questo, di fronte a un dazio che vale doppio, la risposta non può essere un sussequioso inginocchiarsi al “bullo americano.
Alfredo Magnifico