Appalti, la nuova Direttiva Ue segue l’esempio italiano

Se Atene piange Sparta non ride era il detto ricorrente sulle disgrazie proprie e altrui, sulla sicurezza sul lavoro il governo italiano latita ma anche l’Europa non scherza.

Duemila miliardi di euro l’anno (più del 14% del Pil europeo) e oltre quaranta milioni di lavoratori coinvolti: di questo si parla quando si affronta la revisione delle direttive europee sulla sicurezza negli appalti pubblici.

Il 3 luglio la Commissione Imco del Parlamento europeo (commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori) ha approvato un rapporto che, non garantisce assolutamente i necessari miglioramenti a tutela dei lavoratori.

Restano aperti nodi centrali sull’obbligo di applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, sui possibili limiti ai subappalti, l’effettiva applicazione delle clausole sociali e ambientali, ma anche il superamento della logica del massimo ribasso e la possibilità per le aziende pubbliche di offrire servizi “in house”.

Nonostante alcuni miglioramenti, la tutela del lavoro negli appalti non pare essere una priorità della revisione europea.

La direttiva attuale, scritta nel 2014, ha bisogno di essere aggiornata, alla luce dell’evoluzione tecnologica e degli scenari economici e industriali mutati, suggerimenti contenuti nei rapporti Letta e  Draghi, ma non è accettabile che questo avvenga riducendo le tutele previste.

Dietro l’obbligatorietà, e non la possibilità, di applicare i Contratti collettivi nazionali di lavoro, le clausole sociali a tutela dei livelli occupazionali, l’estensione della responsabilità in solido lungo la filiera e la riduzione dei del subappalto a cascata, c’è la condizione materiale di milioni di lavoratori, e soprattutto una visione sociale e industriale.

Gli appalti pubblici dovrebbero essere una leva per aumentare e qualificare la domanda interna, rispetto alle guerre commerciali in corso, per qualificare le imprese, per favorire le economie di scala e la maggiore specializzazione produttiva, per promuovere il lavoro di qualità, i saperi e la contrattazione collettiva.

Se si pensa di aumentare la competitività europea, anche rispetto alle strategie statunitensi o asiatiche, con un po’ più di liberismo, togliendo lacci e lacciuoli, si sbaglia strada.

Anche a livello europeo corruzione, aumento dei morti sul lavoro, crescita della precarietà e sfruttamento  sono tutti fenomeni registrati in questi anni passati, la schizofrenia dei parlamentari europei porta a pensare che la strategia delle politiche industriali e di sviluppo ambientalmente e socialmente più sostenibili, come il Next generation, i vari Pnrr e programmi Sure, sono stati una parentesi teorica,mio nonno avrebbe detto:”si predica bene e si razzola male” .

Il testo del decreto del Governo Italiano su salute e sicurezza è parziale, con misure estremamente limitate, lontano dalle vere emergenze, con nodi irrisolti.

La politica del Governo non affronta assolutamente le reali emergenze che quotidianamente continuano a generare morti e feriti sul lavoro.

Restano in piedi i nodi fondamentali, come la qualificazione delle imprese, appalti e sub appalti: la maggior parte degli incidenti avviene in aziende non qualificate. Il decreto non introduce alcuna misura incisiva su questo fronte, nonostante sia uno dei principali fattori di rischio.

Inoltre, permane una grave carenza di controlli, il ministero non riesce a risolvere l’annosa carenza di organici degli ispettorati del lavoro, che il provvedimento in itinere non contribuisce a risolvere. Nessuna revisione è stata introdotta sul sistema degli appalti, nonostante gli impegni presi a livello istituzionale per garantire maggiore trasparenza e sicurezza.

Non vi è alcun rafforzamento dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls) e dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (Rspp).

Prevale sia a livello italiano che Europeo una visione ideologica del mercato e delle imprese e, dello stesso strumento del subappalto.

Il subappalto dovrebbe essere uno strumento per garantire quegli interventi specialistici o quelle flessibilità che sono funzionali sia ai processi produttivi che al servizio offerto, questo le imprese più serie e strutturate lo condividono, oggi, però, è solo uno strumento per pagare salari più bassi e risparmiare sui costi dalla salute e sicurezza e per creare sempre più zone grigie per rendere difficile a stazioni appaltanti e ispettorati vari di verificare cosa accade in quel cantiere o in quell’ospedale, spesso è solo il veicolo preferito dalle organizzazioni criminali per infiltrarsi nel tessuto economico.

Si tratta di estendere, allora, la responsabilità in solido e l’obbligo di applicazione degli stessi contratti collettivi nazionali lungo la filiera e di mettere un limite sia “quantitativo” che di “quanti livelli”, per tornare ad affermare un principio base: “chi partecipa a un appalto deve essere in grado di svolgerlo con proprio personale, propri mezzi, un controllo e una responsabilità diretta. Insomma che le imprese facciano le imprese e non gli “intermediari”. Non mi sembra una richiesta sovversiva.

Le clausole sociali e ambientali restano spesso indebolite dalla logica del risparmio sui costi: dietro il massimo ribasso c’è una visione di società e quindi anche di impresa, riconoscere il giusto prezzo, reperire e liberare risorse pubbliche volte a promuovere occupazione di qualità, e magari non investire di più in armi, insomma, cambiare il modello di fare impresa. Questa è la vera “politica”.

Sulla limitazione dei subappalti, o comunque sul rafforzamento della responsabilità in solido e sulla possibilità per gli enti pubblici e le società partecipate di poter scegliere tra affidamenti esterni o servizi “in house”, si tratta di questioni industriali, ma vuol dire anche e soprattutto difendere le prerogative del pubblico e del welfare. Il rischio sarebbe un arretramento delle tutele.

Si potrebbe tenere insieme il “fare presto” con il “fare bene”, gli appalti che tutelano il lavoro, offrono prestazioni per la cittadinanza, siano essi lavori pubblici o servizi, sono migliori, con maggiore efficienza e con maggiore sostenibilità finanziaria.

Alfredo Magnifico

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