Campobasso fa suo il dramma del popolo palestinese, con una mostra a Palazzo San Giorgio

I volti e la sofferenza del popolo palestinese protagonisti di una mostra foto/slogan e pensieri in esposizione nella galleria portico di palazzo san Giorgio a Campobasso. Espressione di quello che l’obiettivo e non solo nella sua crudezza coglie anche attraverso slogan e riflessioni, la mostra mette in evidenza il dramma di un popolo che da oltre duemila anni e’ sconvolto dalla guerra. Volti segnati dal pianto, desolazione, disperazione ma soprattutto ricerca di un qualcosa che da sempre caratterizza un conflitto che non accenna a placarsi. Un dramma che coinvolge la totalità degli abitanti della terra che diede i natali al Salvatore del Mondo e che giornalmente registra morti specialmente tra la popolazione civile colpita da quello che dovrebbe essere aberrato: la guerra. Parola che molti della nuova generazione conosce e che si può considerare almeno in quelle realtà un compagno di disavventura, pronta a colpire chi e’ incolpevole e ignaro che da un momento all’altro può cadere sotto i colpi del fuoco non amico. Un nemico che, nonostante parli la stessa lingua, per incomprensioni e per odi etnici e razziali non si ferma dinanzi a nulla e che anche dopo aver portato a compimento la “missione” continua imperterrito ad accanirsi contro chi cerca il dialogo non parola perché in netta antitesi con la pace che nonostante i continui appelli della cosiddetta società civile e’ ancora molto lontana addivenire. Un dramma che nell’assurdità più assoluta non cessa perché non c’è volontà di farlo cessare. Interessi? Voglia di supremazia? Volontà di annientamento? Questi e altri gli interrogativi che molti si pongono e che proprio perché caratterizzati dal punto di domanda, almeno che non intervengano fatti che portino al silenzio definitivo delle azioni belliche, non trovano risposte. Le quali, invece, dovrebbero essere il punto di partenza ma anche di arrivo affinché popoli che portano nel loro DNA gli stessi caratteri genetici arrivino a deporre le armi e a iniziare a percorrere un cammino univoco, non diviso da un solco di odio, non segnato da una lunga scia di sangue ma tracciato dall’unità che da sempre s’invoca perché solo con l’unità d’intenti si riesce a costruire un futuro che faccia echeggiare una volta per tutte la parola “Shalom” qualunque sia la lingua che la pronunci: anzi la gridi. Massimo Dalla Torre

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