Guerra e politica internazionale, intervista al Generale Mario Arpino, ex capo di Stato Maggiore della Difesa

Il Generale Mario Arpino, ex capo di Stato Maggiore della Difesa, sarà l’11 novembre in Molise ospite del liceo scientifico ‘A.Romita’ di Campobasso. Abituati a vederlo e ad ascoltarlo in TV apprezzandone sobrietà e pacatezza quando parla di temi militari e questioni nevralgiche di politica internazionale, si è sottoposto volentieri all’intervista proposta da Informamolise.com , prima ancora di raggiungere mercoledì la nostra regione.
Generale Arpino, Mercoledì sarà ospite del liceo scientifico ‘Romita’ a Campobasso, dove interverrà sulla prima guerra mondiale, ma sarà questa l’occasione per parlare anche della guerra oggi. Rappresenta ‘una prima volta’ per lei essere presente in una scuola e nel Molise?
No, in passato nelle scuole sono stato presente abbastanza spesso ed in varie fasi della mia lunga carriera militare. Interloquire con i ragazzi mi piace. Ho notato che molte volte è molto più ciò che si impara di ciò che si riesce a trasmettere. Mi è accaduto in Veneto, in Friuli, in Piemonte ed in Campania, e mai nel Molise. Oggi spero di recuperare…..”
La guerra : la parola cosa le suscita ?
Certamente nulla di lieto. La guerra ci cambia. Basti pensare che due tra i peggiori crimini sono la distruzione della ricchezza e della vita umana. Ebbene, in guerra tutto ciò diventa lecito, doveroso, pianificato… D’altro canto, chi entra in guerra – magari per difendersi – o lo fa per vincerla o è un pazzo. Però le guerre ci sono, sono una realtà quotidiana. Magari non si chiamano più cosi, perché il linguaggio del “politicamente corretto” ipocritamente ci vuol far credere che eliminando la parola si elimina il fenomeno. Ma la realtà quotidiana ci dice che, purtroppo, non è così”.

Lei la guerra l’ha fatta davvero. Può raccontarci la sua esperienza in guerra?
Le esperienze vere sono quelle che restano dentro, che non si raccontano. Personalmente ho conosciuto le operazioni nel teatro operativo del Kuwait (KTO), che durante Desert Storm comprendeva l’Iraq, il Kuwait (allora occupato dalle truppe di Saddam Hussein) e buona parte della penisola arabica. E’ stata una guerra vera. Assieme ad altri colleghi (inglesi, francesi, americani, sauditi, kuwaitiani e canadesi) affiancavo il generale Horner, capo della coalizione area (circa tremila velivoli), ma ho anche avuto la possibilità di fare attività di volo in Teatro. L’esperienza peggiore è quella di assegnare obiettivi, e mandare gli equipaggi a batterli in territorio nemico, senza poter partecipare e condividere i medesimi rischi”.
Può chiarire queste due categorie cui fa spesso riferimento : guerra della paura e paura della guerra?
Sembra un gioco di parole, ma non lo è. Per i singoli individui, la guerra alla paura altro non è che il coraggio di vincere la paura. A livello collettivo, è più proprio parlare di paura della guerra. Ciò, senza voler necessariamente entrare questioni strategiche, filosofiche o esistenziali, si traduce a volte in psicosi che definire ridicole è generoso. Un esempio? La guerra si svolgeva in Iraq, ma ci riferivano che qui in Italia la gente correva a svuotare i supermercati per accaparrarsi scorte di cibo e bevande. Noi sotto il tiro degli Scud irakeni (attorno al comando della coalizione ne sono caduti diciotto) o dei missili antiaerei, e gli altri italiani al supermercato…per paura della guerra!”
In un’intervista televisiva lei ha dichiarato che siamo nella terza guerra mondiale. Può chiarire questa dichiarazione?
Si, mi riferivo alle numerosissime guerre-non-guerre che possiamo osservare nel mondo, ed anche molto vicino a noi. Mi pare stessi parlando di Medioriente. La differenza tra la prima guerra mondiale, la seconda e la terza è che le prime due erano state “dichiarate”, con tanto di ambasciatori in feluca e credenziali. La terza, quella in atto, oltre a non essere mai stata dichiarata è difficilmente categorizzabile mancando di continuità sia territoriale, sia spaziale. Sono perpetue situazioni di crisi, solo temporaneamente e localmente congelate dagli interventi dell’Onu e delle altre Organizzazioni internazionali, che, non venendo eliminate le cause, non avranno mai vinti e vincitori: sono sempre tutti perdenti. Uno spunto veniva dal S. Padre, che aveva parlato di una terza guerra mondiale a macchia di leopardo. Per l’esattezza, aveva detto “a pezzi””.
La guerra è opportuno lasciarla agli Arabi. Che la facciano tra di loro. Può supportare questa tesi?
” In effetti, se pensiamo che la maggior parte di queste guerre avviene all’interno del mondo musulmano, dove i musulmani stessi sono le prime vittime, la tesi parrebbe supportabile e logica. Ma oggi i nostri “mondi” non sono più separati. E proprio la globalizzazione, che porta ad un’estrema interazione di interessi, ad impedire l’isolamento coatto delle crisi. Se poi ci mette lo zampino l’assetto confessionale in cui, per lo più a causa di tornaconto mediatico, si trasformano questi conflitti, allora ci accorgiamo che la tesi, per altri aspetti logica e accattivante, diventa del tutto non supportabile”.
Ritiene, come alcuni sostengono, che oggi siamo nel pieno di uno scontro di civiltà , Oriente contro Occidente? O questa tesi è solo , qui da noi in Occidente e in Italia , propaganda? E nel caso si, da chi e perché è fomentata e cavalcata questo genere di propaganda?
Non credo che siamo ancora a quello scontro di di huntingtoniana memoria, con civiltà che tendono a sostituire gli Stati-Nazione della vecchia geopolitica. Non si può parlare di scontro, ma di graduale, lentissimo avvicendamento, che purtuttavia avviene ancora utilizzando le regole, i metodi, le tecnologie e le logiche importate dall’Occidente. Al momento, quindi, le chiavi di questa evoluzione le abbiamo ancora in mano noi e sono gli “altri” che, utilizzando per necessità o per convenienza i nostri strumenti, lentamente si vanno plasmando su di noi. Alla fine, saranno loro stessi a diventare “noi”. Se mi posso permettere un paragone, i tempi non saranno quelli dello scioglimento dei ghiacciai, ma nemmeno quelli che ci hanno messo i Romani, che avevano vinto e sottomesso i Greci, a ellenizzarsi. Cioè, a diventare “greci” essi stessi. Ci vorrà molto di più, per la massa dei cinesi, a diventare occidentali “di fatto”. Ci vorrà, presumibilmente, lo stesso arco di tempo che Maja e Atzechi ci hanno messo a sparire come tali, per ripresentarsi come “ispanici”. D’altro canto, il tempo delle “invasioni” , delle grandi migrazioni, è ormai cominciato. Ma non disperiamoci. Alla fine, anche Celti, Longobardi, Goti, Visigoti ed Unni, dopo averci invaso, sono diventati “occidentali”. E, dopo un po’, perfino cristiani”.
L’ISIS è poco più a sud di Roma . Da Tripoli in meno di 1 ora si raggiunge in volo la nostra capitale. La propaganda Isis lancia la minaccia : il cupolone e’ un bersaglio . Quanto può essere realistica questa minaccia e quanto reputa opportuna la scelta del pontefice di indire l’anno giubilare proprio in questo frangente ?
” L’Isis si basa sulla propaganda, sorretto da una capacità mediatica senza precedenti. Ma si basa anche su un vuoto culturale che negli ultimi cinquanta o sessant’anni ha azzerato tutti i valori che caratterizzavano la nostra società e la nostra cultura. I giovani sono quelli che questo vuoto lo avvertono maggiormente: è stato tolto loro qualcosa, senza sostituirlo con qualcos’altro. E i vuoti, come si sa, tendono ad essere riempiti. L’Isis propone, attraverso un propaganda capillare sui social media, qualcosa di forte. Solo così si spiega come il crimine efferato possa trasformarsi nelle menti vuote in accattivante, ma pericolosissimo, “pensiero unico”. In questo senso, anche il Cupolone è pubblicità. In un fenomeno di portata universale ed in una visione macroscopica come una lenta trasformazione di civiltà, l’Isis è una briciola che tende all’irrilevanza, così come qualche improbabile autobomba in periodo di Giubileo. In effetti, la scelta del Santo Padre non è di comprensione immediata. Ma la Chiesa, senza omettere di osservare (con perpetuo ritardo) il contingente, sopravvive proprio perché sa guardare lontano”.
La vicenda del 2011 insegna. Allora la Francia di Sarkozi intervenne in Libia contro Gheddafi al potere da 42 anni e così l’ONU. Da qui si è aperto un nuovo fronte; si contano, oltre l’ISIS, circa 200 bande libiche armate che si fan guerra tra loro. Ma che senso ha fare una guerra se i politici occidentali non hanno chiaro l’ordine post bellico da realizzare ne’ l’obiettivo finale da conseguire per favorire ordine, sicurezza, vera pace?
Certo, questo è il nocciolo del problema. La Libia di Gheddafi non costituiva certo, dopo la rinuncia al terrorismo ed alla bomba atomica, quella che secondo il linguaggio dell’Onu è una “minaccia alla pace ed alla stabilità universale”. Eppure, Sarkosy , seguito a ruota da Cameron, è stato così abile, prima, a convincere il Consiglio di Sicurezza – i cui tempi normalmente sono biblici – ad autorizzare in tempi assai brevi (per la terza volta nella storia dell’Onu) un intervento armato. Poi, a trainare tutti sulla carrozza della “responsabilità di proteggere”, nota foglia di fico inventata dall’Onu, ma mai approvata da nessuno, sotto la quale ciascuno può fare i propri interessi. Ora la situazione in Libia è quella che tutti potevano prevedere, ma che solo pochi hanno davvero previsto. Elegantemente, tutti i promotori di questa strana, inspiegata ed inspiegabile guerra, compiuto il misfatto, si sono immediatamente defilati, lasciando noi con il cerino tra le dita. Noi che, pur riluttanti, siamo stati forzati ad intervenire, “bombardando” i nostri stessi interessi. Prematuramente ed un po’ affrettatamente, ci siamo poi proposti per “comandare” una forza di stabilizzazione, pronta ad intervenire quando lo deciderà l’Onu e lo richiederà un governo libico unitario che ancora non esiste. Cioè, mai. Nel frattempo, con i nostri tentennamenti siamo riusciti ad inimicarci un po’ tutti: governo di Bengasi (minaccia alle nostre navi), Governo di Tripoli (silenzio sul rapimento dei quattro tecnici) ed ex-geddafiani (danneggiamento del nostro cimitero). A questo punto, ritengo proprio che anche i sogni di gloria del “comando” della forza di stabilizzazione stiano per svanire”.
Secondo lei , in ordine decrescente, siamo noi Italiani minacciati di più : dal possibile ‘intervento militare dell’Italia’ , dal terrorismo islamico o dalla miopia e dalla improvvisazione dei nostri politici ?
Non c’è dubbio, il più pericoloso è il terzo elemento. Ma ancora più pericolosa è quella “furbizia” presunta con la quale cerchiamo sempre (mi spiace molto dover parafrasare Hitler nel Mein Kampf) di << correre con il cane e scappare con la lepre >> “.
Le detto una traccia. La Russia oggi nello scacchiere militare e nell’intervento in Siria. Riflessioni
E’ inutile fingersi sorpresi. La Russia non fa altro, da sempre, se non giocare, a volte interpretandolo un po’, il ruolo che le ha assegnato la geopolitica. In quanto “massa continentale” , tenderà sempre a sviluppare la sua forza endogena vero i mari caldi (Ucraina, Medioriente e Mediterrano), verso l’area del Mar Baltico libera dai ghiacci (Polonia e Stati Baltici) e, qualora ci sia l’occasione, anche verso l’Occidente. Questi sono i tre bracci, invarianti della politica russa, che si allungano o si accorciano a prescinderedal fatto che il Capo sia Ivan il Terribile, Caterina, lo Zar Nicola, Stalin o, da ultimo, Vladimir Putin. Vigilando, rassegnamoci…”
Il Cremlino parla di ‘congetture non provate, eppure l’aereo russo precipitato nel Sinai pare possa aver avuto un ordigno a bordo. Tante compagnie aeree stanno in queste ore cancellando i loro voli verso l’Egitto e Sharm . Ha una sua ipotesi su questa sciagura aerea?
Ci possono essere supposizioni, non ipotesi. Almeno fino a quando le commissioni di indagine, tra mille difficoltà, politiche oltre che tecniche, non avranno completato il proprio lavoro. E’ probabile che ciò accadrà in tempi molto lunghi, quando il pubblico avrà ormai perso la memoria della tragedia. Rimarchevole è il fatto che i due “uomini forti”, Putin e al-Sisi, prima ancora che le commissioni fossero nominate, a poche ore dall’incidente avessero già annunciato ai quattro venti che “…è probabile un’avaria a bordo “…si escludono categoricamente atti di terrorismo”. Non è singolare? Evidentemente per due uomini impegnati nella lotta antiterrorismo in Siria e nel Sinai subire un attentato del genere proprio da parte dei terroristi che si combattono è altamente squalificante. Un affronto politico che due quasi-dittatori non possono certo subire. L’avaria è meno compromettente: squalifica solo una piccola compagnia privata low-cost, e non tutto il sistema-paese. Insomma, è politicamente accettabile per i due interessati. Con il tempo, tanto tempo, i tecnici ci sapranno certo dire se uno dei classici elementi di indagine – uomo, macchia, ambiente – sia stato quello scatenante. Ma non interesserà più nessuno. Ciò che conta, ora, sono gli annunci”.

(Ringraziamo per la collaborazione alla realizzazione dell’ intervista la professoressa Adele Fraracci)

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