Sciopero: così non va, anche per colpa dei sindacati

Lo sciopero generale del 12 dicembre, sciopero indetto dalla Cgil e dalla Uil, si inserisce in un momento di forte transizione del sistema economico, politico e sociale italiano. Lo slogan scelto dalle due sigle sindacali “Così non va” è uno slogan corretto e appropriato. Così non va ma, soprattutto, così non può andare. La miopia interessata della classe dirigente al potere, figlia di un contesto economico e politico oggi non più esistente, continua a propagandare orizzonti riformistici e gradualistici che stanno solo nella testa di chi parla. La gente, però, assoggettata alla propaganda di stato, al bombardamento quotidiano di giornali e televisioni, ancora non ha capito la drammaticità e la serietà della situazione. Solo chi si vede solo e abbandonato da uno Stato lontano e ostile, solo chi si trova esodato, disoccupato, precarizzato comincia drammaticamente a comprendere che qualcosa di grave sta succedendo. Il presidente Napolitano che, in uno sbotto di durezza senile, smaschera la faccia vera del potere, quella repressiva, quella dei carri armati sovietici nell’Ungheria del 1956, quella insofferente a chi protesta contro un mondo ingiusto la dice lunga sulla condizione di questo Paese, sulla accelerazione che la crisi sta conoscendo.

Per questo le cose non vanno, e il sindacato ha tutte le ragioni per denunciarlo, per protestare, per contestare. Ma d’altro canto la titolarità della protesta per molti versi non va neanche essa. Il sindacato italiano, dei lavoratori e datoriale, è stato il cuscino di cemento su cui, indisturbato, è stato creato un sistema cleptocratico, inefficiente, distruttivo e corrosivo che ha governato l’Italia negli ultimi 50 anni. I sindacati, questi sindacati, hanno scambiato, per un pugno di lenticchie d’oro, la loro legittimazione nel rappresentare le ragioni dei più deboli con gli agi, le prebende e il comfort del potere, delle concertazioni spartitorie, dei figli al lavoro con la raccomandazioni del padre sindacalista. Questi sindacati, il 12 dicembre dicono anche cose giuste, forse addirittura sacrosante, ma non sono più credibili. Meglio ha fatto, forse la Cisl a tirarsi indietro, lei che recentemente si è aggiudicata un appalto delle Poste Italiane per milioni di euro.

Sullo sfondo di questa Italia sfasciata, di questa Italia che non va si erge solo una figura, che però è anche una grande speranza: papa Bergoglio. Questo gesuita dalla mente raffinata è l’unico vero eversore che può cambiare il passo di un sistema marcio e irriformabile. Il suo intervento, o meglio l’intervento dei vescovi italiani per il tramite di Giancarlo Bregantini, sulla vicenda di Napolitano testimonia quanto sia avanti papa Francesco. La sua sostanziale difesa delle posizioni di Beppe Grillo (un uomo visionario, un genio cui difetta però una cultura politica adeguata) è il sintomo che è davvero lui il vero rivoluzionario. Papa Francesco ha capito che questo sistema economico è inefficiente e crea solo ingiustizie e oppressioni crescenti. Affermando che è più eversivo chi ruba che non chi protesta contro chi ruba ha sanzionato la fine e la pochezza del regime al governo in Italia, in Europa e forse nel mondo. D’altronde la scuola politica dei gesuiti è quanto di meglio sia disponibile relativamente alla gestione del potere e delle collettività. E non è un caso che proprio la Chiesa sia stata in grado, in un momento di radicale carenza di leadership, di tirare fuori dal suo cilindro inesauribile un leader dello spessore di papa Bergoglio. Oggi così non va, è vero, ma domani, forse, e con l’aiuto della divina Provvidenza (la citazione è letterale) potrà andare meglio (P.C.)

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