La riflessione/ La pandemia e la politica del “lascia il mondo come si trova”

“Lascia il mondo come si trova”, la frase, tradotta dal molisano, è un’istituzione regionale, quasi quanto il gagliardetto con lo scudetto a sfondo rosso e con la fascia e stella chiara. Ce lo siamo sentiti ripetere tutti, sicuramente decine di volte: ad ogni arrabbiatura, ad ogni tentativo di cambiare qualcosa, ogni volta che abbiamo minacciato un colpo di testa o il dissenso da qualcuno ‘forte’. Insieme a “ma chi te lo fa fare…”, che generalmente lo segue a ruota, è il concetto ereditario permanente nella nostra società. Puntualmente abbiamo obbedito ed il mondo è rimasto così, mentre noi siamo rimasti indietro. L’avversione nei confronti dell’innovazione, del cambiamento, il forte peso di una cultura della conservazione, soprattutto nel mondo rurale ma anche negli ambienti politici; tutto ha contribuito a fare del Molise la regione della tradizioni, il fiore all’occhiello di chi voleva cercare un ritorno ai tempi passati, un viaggio a ritroso nel tempo altrove impossibile.

In quest’anno terribile e di preoccupazione sanitaria e psicologica abbiamo imparato a fare i conti con questa mentalità e capito quanto possa essere deleteria in situazioni gravi. Quando tutto è cambiato ci si è stravolta la vita, abbiamo capito che contro il nemico pandemico, silenzioso e subdolo, la riposta sarebbe dovuta essere l’azione veloce, la decisione flash, il ragionamento breve ma preciso; allora questo abbiamo chiesto alla classe politica sperando di fare quadrato contro un virus che di coronato non ha niente, salvo quelle orribili e maledettamente pericolose propaggini colorate.

Ma la classe politica non ha reagito come ci saremmo aspettati rimanendo impassibile, forse attonita contro questo nemico troppo rapido e violento; forse condizionata da secoli di “lascia il mondo come si trova”. Del resto se è vero che loro sono lo specchio di chi li vota e anche degli altri, cioè della società locale in generale, come avrebbero potuto agire diversamente?

Il termine ‘inerzia’, dal vocabolario è più o meno: “Condizione, temporanea o abituale, d’immobilità o inattività…”, che in uno slancio dinamico diventa muoversi ‘per forza d’inerzia’, cioè con totale mancanza di partecipazione attiva. Ecco il succo del discorso è questo: l’immagine che si ha è di un errore primordiale che li condiziona nell’azione per cui è veramente difficile invertire la rotta se non si è stati preparati a ciò. Quindi abbiamo un nemico pandemico che si adatta, per sopravvivenza, poi muta rapidamente e si evolve diventando sempre più ‘cattivo’, resiste ad ogni cambiamento cercando di trarre il massimo vantaggio e dall’altra parte l’archetipo molisano del decisore politico che cerca di combatterlo con quello che già sa, senza vedere gli altri come stanno facendo, ma soprattutto senza contattarli, senza cercare la risposta rapida ed innovativa, senza affannarsi a documentarsi ovunque e con chiunque possa saperne di più e meglio; in sostanza senza la scossa necessaria per fare quadrato con tutte le energie migliori, a livello anche nazionale, per poi poter dire serenamente che in ogni caso si è fatto il possibile e anche di più per condurre questa difficile impresa globale.

Così la battaglia non potrà essere vinta: allora o si dovranno trovare le soluzioni facendo rete ampia, la più ampia possibile, oppure sarà meglio lasciare il campo libero e farlo fare a chi ci può riuscire. Ciò non per un motivo di mera convenienza pubblica, ma d’interesse collettivo, che va anche oltre i già terribili numeri della pandemia. Speriamo bene, che arrivi questa ‘illuminazione’, ma senza dover aspettare troppo, perché di tempo ne è rimasto poco e poi potrebbe essere troppo tardi per evitare una Caporetto.

Stefano Manocchio

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