Rubare vino e bere durante l’orario di lavoro per la Cassazione non è reato

La Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza n. 854 del 20 gennaio 2015 stabilisce che il dipendente del supermercato, sorpreso a rubare del vino dagli scaffali per ubriacarsi durante l’orario di lavoro, non può essere licenziato se il vino ha un valore economico basso e se il lavoratore sta attraversando un difficile momento sul piano personale. Il fatto che dà origine alla vicenda è riferito ad un lavoratore, dipendente di un supermercato, il quale rubava più volte nell’arco di pochi giorni dagli scaffali delle confezioni di vino in scatola (circa un litro al giorno), e lo consumava direttamente sul posto di lavoro, abbandonando i rifiuti per terra dopo aver terminato la consumazione. Dopo aver scoperto il fatto, l’azienda intimava il licenziamento confermato successivamente dal Tribunale di Catanzaro.  La Corte di Appello successivamente modificava il dispositivo: la Corte territoriale annullava il licenziamento, sostenendo che, pur essendo pacifica la commissione dell’illecito, la sanzione espulsiva sarebbe stata sproporzionata rispetto al comportamento del dipendente.
Il datore di lavoro ricorreva per Cassazione, evidenziando che il comportamento del dipendente – il furto di beni aziendali – è sanzionato espressamente dal CCNL applicabile al momento dei fatti con il licenziamento per giusta causa ( “appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali”). La Cassazione rigetta la tesi aziendale e confermava la decisione della Corte d’Appello: secondo i giudici di legittimità, infatti, il comportamento del dipendente non doveva considerarsi come un vero e proprio furto, ma doveva essere considerato come un (meno grave) “consumo di vino”, poiché la sottrazione riguardava un bene di modesto valore e, allo stesso tempo,  meramente funzionale al consumo immediato. Sempre secondo la Corte, poi,  il consumo di vino sarebbe stato di lieve entità (un litro al giorno…) e si sarebbe protratto per un periodo di tempo contenuto, evidenziando che la gravità del fatto doveva essere ulteriormente attenuata, perché il dipendente aveva la necessità di “provvedere ad un bisogno in qualche modo qualificabile grave ed urgente”.
Sulla base di queste considerazioni, il dipendente è stato reintegrato sul posto di lavoro, ottenendo anche il pagamento di tutti gli stipendi che avrebbe maturato nel periodo intermedio.  Se questa controversia fosse stata decisa applicando le nuove regole del Jobs Act (che entreranno in vigore solo da febbraio e solo per i nuovi assunti), l’accertamento del fatto avrebbe impedito la reintegra, consentendo solo il riconoscimento di una tutela risarcitoria.
Alfredo Magnifico

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