False dichiarazioni in un atto pubblico: caratteristiche, limiti e consigli

Capita frequentemente che ci si trovi a rendere, sotto la propria responsabilità, dichiarazioni alla Pubblica Amministrazione. Ognuno di noi, infatti, per i motivi più variegati (partecipazione ad un concorso, deposito di un istanza, richiesta di una licenza o di un permesso), è spesso chiamato a compilare la cd. “autodichiarazione/autodichiarazione”, che permette di attestare sotto la propria responsabilità (e senza bisogno di ulteriore documentazione) uno status. La falsità di queste dichiarazioni configura reato, quello di “falsità ideologica”, e prevede la pena della reclusione. Purtroppo, oltre ai casi di dolo, vi sono molte situazioni in cui le dichiarazioni vengono rese con superficialità e senza l’intento di delinquere, ma questa leggerezza agli occhi della legge non scrimina.
Quando si compilano dichiarazioni sostitutive di certificazione, infatti, vi è sempre un avvertimento che precede la sottoscrizione, ossia la frase: “… consapevole delle sanzioni penali richiamate dall’art. 76 del D.P.R. 28/12/2000, n. 445, in caso di dichiarazioni mendaci e di formazione o uso di atti falsi”. Ciò vuol dire che chiunque attesti falsamente al Pubblico Ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, potrà essere imputato del reato previsto e punito dall’art. 483 del codice penale. Se si incorre in questa spiacevole situazione, però, delle vie d’uscita ci potrebbero essere. In particolare, il reato in esame è punito a titolo di dolo, sicché se si riesce a dimostrare (impresa non facile) che non vi è stata la rappresentazione e la volizione di mentire, si può sperare in un’assoluzione. Ha infatti precisato la Suprema Corte di Cassazione che il dolo è rappresentato dalla volontà cosciente (e non coartata) di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, quindi va escluso quando la falsità sia dovuta a negligenza o a una leggerezza nella condotta dell’agente (C. Sez.V. 31.5- 23.8.2012 n. 33218)  Ciò può accadere, ad esempio, nel caso di autocertificazione di un reddito minore a quello effettivo in una dichiarazione sostitutiva di certificazione.
Un’altra scappatoia risiede nella rilevanza penale delle sole dichiarazioni imposte dalla legge e non di quelle aggiuntive e ultronee. Capita spesso, infatti, che l’utente “facendosi prendere la mano” renda dichiarazioni aggiuntive a cornice di quelle che gli vengono richieste. Bene, la falsità di queste dichiarazioni potrebbe sfuggire dalla sfera del penalmente rilevante. L’articolo, infatti, nella parte in cui sancisce che hanno rilevanza i “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”, segna chiaramente l’area di significatività penale del comportamento, facendola coincidere con le ipotesi in cui il falso abbia ad oggetto i soli fatti dei quali il documento richiede la veridicità. Ciò significa che il delitto in esame non è integrato da una qualsiasi attestazione proveniente dal privato, posto che la falsità ideologica di cui all’art. 483 c. p. si configura solo allorché la falsa attestazione contenuta nell’atto pubblico sia riferibile a fatti che l’attestante ha il dovere giuridico di esporre veridicamente e dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
Naturalmente, visti i plurimi casi di imputazione per dichiarazioni mendaci, il primo consiglio (quando si è in buona fede) è quello di compilare sempre con attenzione le cd. “auto- dichiarazioni”, poiché spendere qualche minuto in più nella compilazione di un documento evita di perdere, successivamente, mesi o anni nella dimostrazione della propria innocenza ed estraneità.
avvocato Silvio Tolesino

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