Dopo il Covid il problema che colpirà l’Italia, sarà la scarsa produttività del lavoro

La recessione provocata dalla Pandemia si concentra su settori ad alta intensità considerati tra i più fragili, perché scontano; crescita stagnante, crisi perpetua che accresce debolezze già esistenti e colpisce realtà già di per sé fragili e deboli,dove maggiormente si interagisce con il pubblico come commercio, ristorazione, turismo, settori tra i più fragili e con enorme peso nell’economia italiana, più che altrove, soprattutto perché scontano una carenza antica e una produttività del lavoro scarsa, tra le più basse in Occidente.

La crisi del 2008-13 aveva colpito inizialmente esportazioni, settore finanziario, e immobiliare, che erano in crescita ma non aveva prodotto gli stessi effetti devastanti che stanno emergendo nella crisi Covid.

La produttività del lavoro, intesa come crescita del PIL reale per persona occupata, da vent’anni in Italia è inferiore al resto d’Europa; risulta mediamente stagnante tra un -0,1% – 0,2% dal 2000 al 2019, con eccezione del 2017 quando è stata del 0,9%, comunque più bassa di molti decimali, a volte di un intero punto, a quella europea o tedesca.

La bassa crescita del PIL è dovuta al fatto che, con la ripresa, si è privilegiato l’aumento dell’occupazione, spesso di bassa qualità, in settori come il commercio, piuttosto che investire per acquisire competenza, secondo le previsioni della Commissione Europea, questo andazzo continuerà anche dopo la crisi.

Il 2020, con il crollo dell’occupazione, -10,3%, superiore a quella del PIL, o delle ore lavorate a causa dell’uso massiccio della cassa integrazione, la produttività del lavoro apparirà, addirittura, positiva e maggiore a quella di Europa o Germania ma nel 2021/22 potrebbe ritornare il solito trend.

Nel 2021 il ritorno al lavoro di molti dopo la fine prevista della CIG sarà più forte del rimbalzo del PIL, che del resto non è stimato essere travolgente rispetto a quello degli altri Paesi, del 4,1%, mentre nel 2022 la produttività del lavoro sarà di nuovo positiva, ma solo del 0,4%, meno di quella europea, dell’1,4%, o tedesca, dell’1,9%,  complessivamente nei prossimi tre anni ,nelle previsioni, il bilancio per l’Italia è più negativo che per altri Paesi, e sulle previsione per il 2021 sembra esserci una delle maggiori correzioni, in peggio, rispetto alle stime primaverili della  Commissione, in parte per una ripresa del PIL che è vista nel nostro Paese come meno forte, in parte per un rimbalzo maggiore dell’occupazione, artificiale, poiché drogato dall’uscita dall’attuale uso massiccio della Cassa Integrazione.

Il livello di persone occupate, non di ore lavorate, nel 2021 e 2022, le variazioni saranno più deludenti che nel resto d’Europa, con un calo del 0,5% (0,2% nella UE) nel 2021 e un aumento del 0,7% (1% nella UE) nel 2022, frutto di una scarsa produttività del lavoro degli anni passati.

La minore competitività del sistema Italia e del suo capitale umano ha salvato, nel breve periodo, l’occupazione dai tracolli di Spagna e U.S.A. durante la crisi, quando i posti persi sono stati molti di più che nel nostro Paese, del resto e non occorre una testa d’uovo per teorizzare che meno si lavora e più è alta la produttività, ottenuta a volta, anche con licenziamenti, che si evitano rimanendo poco produttivi.

La produttività consente di essere competitivi, incrementare PIL e salario, e vedere un rimbalzo occupazionale più che compensativo, che abbiamo visto in Spagna dopo il 2011 e in Germania dopo le riforme del lavoro della prima metà degli anni 2000.

Se non vi saranno cambiamenti significativi, il destino è quello di replicare i risultati del passato, non solo noi, esiste una corrispondenza chiara tra le performance medie della produttività del lavoro tra il 2001 e il 2019 e quella del 2020-2021-2022 , chi era indietro allora sembra destinato ad esserlo anche domani.

I Paesi con produttività del lavoro sotto la media nei prossimi anni, avranno una crescita dei salari reali inferiore alla media, poteva andare peggio, secondo Banca d’Italia, alcune riforme effettuate negli ultimi dieci anni, come liberalizzazioni nei servizi, incentivi agli investimenti in Industria 4.0, riforma della giustizia civile, hanno innalzato la produttività, probabilmente più di quella del capitale, ma anche quella del lavoro, e quindi la crescita del PIL.

Dopo il 2017 non si sono viste altre riforme, si è pensato più a un assistenzialismo rassicurante, prima e soprattutto durante il Covid.

Il Recovery Fund può essere l’occasione per rallentare l’assistenzialismo rassicurante e incrementare la competitività delle imprese, dando così un futuro ai dipendenti, aspro sarà il conflitto tra chi vorrà usarlo per innalzare la competitività delle imprese, passando attraverso la forza lavoro e chi vorrà usarlo come moneta elettorale calciando un po’ più in là la palla, rimandando il tema produttività.

Alfredo Magnifico

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