Anziani, precari e con salari poveri: i dipendenti pubblici

La fotografia del personale dipendente della Pubblica Amministrazione vede oltre 700 mila lavoratori che entro il 2033 andranno in pensione, un’emorragia, gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa, una precarietà diffusa e nessun vero ricambio generazionale. È questa la fotografia della Pubblica Amministrazione italiana

Una situazione disastrosa che dovrebbe preoccupare chiunque ha a cuore la tenuta dei servizi essenziali, il problema non è solo la quantità delle uscite: è l’assenza di ricambio vero; “un quinto delle nuove assunzioni sono stabilizzazioni di personale già in servizio.

Nel 2023, su meno di 100 mila nuovi ingressi, oltre 20 mila erano lavoratori già presenti. Nel 2021 erano il 5%, oggi il 20%”, un fenomeno che blocca ogni rinnovamento, mentre l’età media dei dipendenti continua a salire.

L’età media nelle funzioni centrali è di 52,8 anni, in quelle locali 51,8, solo la sanità registra una leggera inversione di tendenza, fermandosi a 48,9 anni, ma con livelli di precarietà ancora altissimi, nel comparto sicurezza e difesa si arriva a 44,4 anni.

I numeri mostrano una Pubblica amministrazione sempre più anziana, lenta, burocratizzata, e troppo spesso non attrezzata a rispondere ai bisogni complessi di una società in cambiamento.

Altro che “giovani e meritevoli”: qui si lotta per garantire il minimo.

Non basta dire “valorizziamo il merito” se poi si pagano i lavoratori pubblici meno di tutti. L’Italia investe per le retribuzioni il 76% in meno della Francia, il 66% in meno della Germania e il 52% in meno del Regno Unito.

La scelta è politica, non dettata da necessità economica. Il paradosso  è che la spesa pubblica complessiva cresce, ma non per i lavoratori: aumentano le esternalizzazioni, le consulenze, i servizi affidati a privati, la P.a. si svuota dall’interno e si affida sempre più all’esterno, pagando di più per avere di meno.

Oltre 90 mila lavoratori e lavoratrici precari popolano i settori pubblici. Le assunzioni a tempo indeterminato crescono (+40 mila tra 2022 e 2023), ma non abbastanza da compensare le perdite degli ultimi dieci anni: -50 mila unità nelle funzioni centrali, -80 mila nelle locali, -18 mila nel comparto sicurezza e difesa. E proprio in quest’ultimo settore, che il governo dice di voler rafforzare, si continua a tagliare. Solo la sanità fa eccezione, con +40 mila unità in dieci anni, ma ancora zavorrata dai limiti alla spesa di personale e da nessuna misura per stabilizzare davvero.

Serve sostituire chi va in pensione, e investire per il futuro, per farlo servono fondi veri, “un piano di assunzioni strutturato, contratti dignitosi, confronto reale con le organizzazioni sindacali”. E soprattutto, la volontà politica di smettere con gli annunci e iniziare a ricostruire lo Stato dalle sue fondamenta: le lavoratrici e i lavoratori.

Alfredo Magnifico

Commenti Facebook