#corpedelascunzulatavecchia/u mucchiu du’ scjene (il mucchio del fieno)

Nel periodo che va dal 20 maggio al 20 giugno i contadini una volta erano soliti a raccogliere il fieno. Non è che ora non la facciano più, ma mi sembra che il periodo si sia spostato leggermente più avanti per le condizioni atmosferiche non tanto buone, alle volte, nel mese di maggio.

Dunque si iniziava con lo sfalcio dell’erba (la fauciatura) una volta essenzialmente manuale, poi aiutata dalla meccanizzazione. Io personalmente ricordo solo la meccanizzata, quella manuale solo nei racconti dei nonni, o di qualche anziano (come zio Pasquale, mio vicino di casa, zio per rispetto non per parentela, che lavorava nei cantieri edili e la sera tornato a casa prendeva il falcione (u faucione) e continuava a lavorare). Detto questo torniamo a bomba: la fauciatura, per quanto ricordi, era esente da calcoli di fasi lunari ed era prevalentemente legata al trattorista che veniva a falciarti il prato. Il nostro trattorista era zio Emilio (zje Emile), altro “zio” non di sangue da di rispetto. L’operazione di “fauciatura”, se vogliamo non era pesante se non per il conduttore della falciatrice, ma il padrone del campo osservava ogni movimento per fare in modo che nemmeno un filo d’erba andasse perduto e che si salvassero gli alberi nel campo. Alberi importanti per la frutta invernale.

Le operazioni successive alla “fauciatura” erano in ordine: il rigiro del fieno, operazione riveniente da quando si sflaciana a mano perché sfalciando a mano il “solco” del fieno era alto e quindi i raggi del sole non arrivavano sino in fondo per seccare il fieno. Seccato il fieno in tutto il suo contesto, si passava a preparare le “maniatelle” dei mucchietti di fieno che avrebbero facilitato il trasporto del fieno dal campo a dove bisognava “ammucchiarlo”. Mentre si preparavo le maniatelle, operazione spesso fatta dalla donne, gli uomini controllavano il palo attorno al quale avrebbero “costruito” il mucchio del fieno. Bisognava al limite rinforzarlo o addirittura piantare un nuovo palo (la perteca).

Preparata la perteca si iniziava a metterci intorno della paglia o del fieno non di qualità per evitare che il fieno buono toccasse a terra, evitando in questo modo di far marcire il fieno buono.

Nel frattempo erano iniziate le operazioni di raccolta del fieno e si utilizzavano (bovini o equini) per tirare una specie di slitta (u strascine).

U strascine si usava se il mucchio del fieno si erigeva sullo stesso fondo del campo dove si raccoglieva  il fieno, diversamente per trasportare il fieno, solitamente a casa, si utilizzano i carri trainati da animali o le “rite”. Faccio ammenda ed annuncio la mia profonda ignoranza, vi posto la fotografia ma non ho mai immaginato il nome in italiano.

Era praticamente una rete che si chiudeva con delle funi legate a dei pali. Una volta legati si agganciavano al bastio (la varda) dell’asino o del cavallo (la vettura) e si portava il fieno a casa.

Io onestamente quando mio nonno non li ha più usati per la raccolta del fieno li ho usati come amaca. La capa non deve mai stare ferma.

Mio nonno aveva l’asino ed io ne ho le prove:

E’ stata l’unica volta che ho fatto “guidare” mio cugino. Il maggiore sono io … eh … scusate ….

Dunque caricato il fieno con: u strascine, le carrette, le rite, si arrivava al punto dell’ammucchiare del fieno. Di solito il più esperto era quello che stava sopra il mucchio,  intorno alla pertica, e disponeva il fieno intorno alla pertica stessa. Raccoglieva il fieno che gli veniva porto dal compagno che stava a terra che utilizzava la “forca”.

Da noi forcone non si è mai usato, saremmo stati dei toscani e non dei molisani, probabilmente. Quindi si porgeva il fieno al compagno che stava sopra e questi lo raccoglieva con la sua forca e lo distribuiva intorno alla pertica. Unitamente alla “distribuzione” del fieno girava intorno alla pertica per compattare il fieno.

Man mano che la “costruzione” procedeva si cambiavano gli attrezzi. L’addetto a far salire il fieno sul mucchio lasciava la sua forca per utilizzare “u furcatielle” una forca sempre a due denti, ma un manico lunghissimo per porgere il fieno nei “piani alti”, oltre a cambiare gli attrezzi chi stava giù valutava la quantità di fieno rimanente e quindi avvisava il compagno che stava su quando era il caso di iniziare a restringere la forma del mucchio perché il pieno stava finendo.

Questa del restringimento era un’operazione decisiva per la buona conservazione del fieno. Infatti il mucchio alla sua sommità doveva essere a punta perché la parte finale di quella specie di cono rovesciato, veniva ricoperto di terra, per evitare che l’acqua penetrasse all’interno e sulla sommità del mucchio si conficcavano delle canne per fare mantenere ben pressato il fieno.

La terra da mettere sopra il mucchio l porgevano in un secchio (u ‘mbezzature) con u furcatielle, oppure legando u ‘mbezzature con la terra ad una fune e si tirava su u ‘mbezzature con la terra. Questa stessa fune era usata, poi per far scendere il preparatore del mucchio perché spesso, presi dalla foga o dalla quantità di fieno, si costruiva un mucchio più lungo delle scale che si avevano a disposizione. Quindi il contadino “alpinista” scenda a “dietromarcia” calandosi come un alpinista che stava scendendo il Monte Bianco.

Il mucchio del fieno era il punto di arrivo per la raccolta del fieno, ed il punto di partenza per l’alimentazione degli animali nel periodo invernale.

Nel periodo invernale il mucchio veniva “segato” con un attrezzo che noi chiamavamo la “sega du’ sciene” e che in italiano, scopro ora si chiama tagliafieno:

Il suo uso era molto semplice, come un penna si iniziava da sinistra e si andava verso destra “segando” appunto perciò veniva detta “la sega dù sciene”. Una volta tagliato dal mucchio il fieno occorrente si deponeva su una tenda “la tenna” e si portava nella stalla per darlo agli animali.

Negli annali si racconta anche di mucchi di fieno incendiati e di mucchi di fieno venduti soprattutto nel periodo invernale.

Anche mio nonno un anno vendette un mucchio di fieno al trattorista che  aveva falciato l’erba come ogni anno.

Cosa c’era di speciale in questo? Niente se non che “qualcuno” nel mucchio di fieno aveva nascosto un pacchetto di sigarette che ovviamente fumav”a” di nascosto. Quello domenica mattina, ricordo, partecipai alle operazioni di carico del fieno nella speranza che uscisse fuori il pacchetto di sigarette nascosto. Nemmeno per l’anticamera. Solo dopo ho saputo che in fase di distribuzione del fieno agli animali,  da parte di zia Teresa, moglie di zie Emilie, uscì il pacchetto di sigarette. Sicuramente zia Teresa aveva capito tutto, ma per non creare “guerre  nucleari” nella mia famiglia buttò silenziosamente e con molta discrezione di pacchetto di sigarette nel fuoco, “cremando” ogni possibile prova.

Questi sono piccoli ricordi del fieno che mi porto dietro da quando ero bambino. Per me sono bei ricordi e non li cambierei con niente.

Oggi niente politica, solo ricordi. In ogni caso, sempre con affetto e stima, statevi arrivederci.

Franco di Biase

Commenti Facebook