Campobasso/ Le elezioni e il ‘condominio’ di Palazzo San Giorgio

I primi commenti alla presentazione delle liste per il rinnovo del Consiglio comunale di Campobasso hanno focalizzato subito le differenze rispetto alle amministrative ultime. Meno liste, il ritiro praticamente in massa delle civiche ed una chiara difficoltà a riempire l’elenco dei nomi (sei partiti su undici hanno chiuso il quadro con meno di 32 candidati e la difficoltà è evidente nel centro sinistra), oltre al consueto ‘salto della quaglia’. Quest’ultimo fenomeno a Campobasso e in Molise in generale è diventato tanto diffuso da non destare più grande interesse collettivo; oramai è assodato che le ideologie non esistono e i partiti sono contenitori da riempire alla bisogna, quindi la fedeltà non è di fatto considerata e soprattutto non è considerata più un pregio.
Secondo aspetto: al turbinio di nomi e fatti ed a questo spasmodico impegno dei diretti interessati per racimolare voti corrisponde un livello d’indifferenza da parte della gente come mai si era visto in precedenza. Un tempo si diceva che parlare di politica era il passatempo preferito dalla gente, pensionati in testa; adesso i candidati non vengono più neanche nominati, si torna a parlare di sport e calcio in particolare, o del tempo e degli argomenti ‘cult’ per eccellenza, le tasse e il costo della vita su tutti. La disaffezione è perfettamente giustificata e il baratro tra politici e gente ‘comune’ è oramai abissale. In sostanza il palazzo di città viene visto come un condominio abitato dai partiti e da gente che alla fine stabilisce cosa sia giusto secondo i propri gusti, senza ascoltare la piazza oppure ascoltandola e poi ignorandola, che è anche peggio. La composizione delle liste avvalora questa testi: quasi tutti presenti quelli ‘di mestiere’ a cui si sono aggiunte persone dell’entourage, politici di ritorno, parenti e amici, o amici degli amici, di altri politici e solo in rari casi persone che con la gestione amministrativa della città non hanno rapporti, come si dice in normativa ‘fino al quarto grado di parentela’.
Alla fine la gente andrà a votare ugualmente, senza grande interesse e delegherà l’amministrazione cittadina per poi disinteressarsi per altri cinque anni della questione; è esattamente quello che vogliono i partiti, governare senza eccessive intromissioni e temo che saranno abbondantemente accontentati.
Stefano Manocchio

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