Politica/ Arriva Draghi, W Draghi!

Mentre il neo Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, si appresta ad incassare una scontata ampia fiducia nei due rami del Parlamento, i politici si sfregano le mani, pensando (non del tutto a ragione) non solo di aver risolto il maggiore dei loro problemi, cioè gestire le ingenti risorse comunitarie avendo la persona giusta che curerà la programmazione al posto loro, ma anche di poter continuare a governare con le logiche partitiche di sempre, peraltro senza rischiare il peso delle decisioni difficili. A conferma di ciò le scene di autentico giubilo collettivo al sorgere dell’ipotesi di nomina del ‘supreconomista’ da parte del Presidente Mattarella e gli improvvisi dietro front di quelli che finora avevano espresso dubbi sull’ipotesi; non sono apparsi affatto preoccupati del fatto che l’ennesimo governo ‘tecnico’ stia a significare il fallimento della politica, mai in grado di governare al meglio nei momenti difficili. E’ vero che ci sono stati dei distinguo, ad esempio sulla rappresentanza femminile nell’esecutivo, come se fosse tutta colpa del premier la carenza di rappresentanza ‘rosa’ esclusivamente nel centro sinistra. Il “non del tutto a ragione” perché si legge nell’azione partitica una sottovalutazione dell’abilità di Draghi a muoversi anche nelle logiche politiche, oltre che in quelle economiche. Si è visto proprio nella composizione della lista dei ministri: rappresentanza proporzionata non tanto e non solo al ruolo e al potere elettorale, ma anche all’utilità ai fini di una maggioranza ampia. Detto in pratica, Forza Italia certo adesso non ha il potere contrattuale per avere tre ministeri come i partiti più ‘forti’: ma l’entourage berlusconiano serve alla bisogna e può appunto garantire l’equilibrio, anche numerico, richiesto ad un governo delle larghe intese.

Dov’è il bilancino politico? Nella scelta dei nomi per il Governo: i tre capi corrente del PD (Orlando, Speranza e Franceschini), Di Maio per i Cinque Stelle (in nutrita compagnia), Giorgetti in un ministero ampio e potente. Insomma a dirla tutta: se non è il Cencelli è il figlio minore ma sempre in puro stile democristiano. I partiti da un lato e chi dovrebbe esserne distante, dall’altro, sono in perfetta sintonia, almeno apparente: ma quanto durerà questo idillio? Per adesso rimarrà, perché la situazione drammatica in cui versa il Paese impone un mandato ampio e forte e Mario Draghi certamente non ammetterebbe il contrario: ma l’atavica voglia di gestire tutto e, soprattutto, di escludere chi non fa parte del cerchio magico dei partiti alla fine, in un modo o nell’altro, si appaleserà.

Il nuovo premier italiano viene visto, a seconda della prospettiva, come l’uomo della Provvidenza o il terminale dei poteri (molto) forti: in ambo i casi ha credito dove la politica italiana non è riuscita a farsi sentire come dovuto, cioè nei salotti europei e nelle alte sfere che tendono al divino. Ma soprattutto, avendo mani libere dalle logiche elettorali, sa fare quello che la politica italiana non riuscirebbe mai a fare, cioè programmare e gestire risorse per 200 miliardi con un impostazione diversa da quella del contributo a pioggia ( o a cascata se preferite). Ciò gli attribuisce una posizione al momento inarrivabile anche per i giochi e le coalizioni distruttive, che nei salotti politici circolano eccome. Si potrebbe dire che anche Monti, avendo credito nell’economia europea in abbondanza alla fine sia stato in un certo senso ‘travolto’ dall’azione della politica; ma in questo momento, piaccia o non piaccia, Draghi è l’ultima spiaggia per rimanere con un senso in Europa, cioè con la capacità di interloquire con chi comanda veramente (le cancellerie e i regnanti).

“Arriva il re, w il re” diceva il popolo acclamante, salvo poi ripensarci nel momento di debolezza. Ma questo nuovo monarca sembrerebbe essere più o meno immune dagli strali popolari e dalle congiure di palazzo, almeno per il momento. Il tempo, come sempre, sarà giudice, o arbitro.

Stefano Manocchio

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