Movimento 5 Stelle: Per un’agricoltura moli-sana: NO a Gran Manze!

mucche11I vertici della Granarolo spa sono scesi nelle lande molisane per una conferenza stampa nella quale hanno evidenziato diversi aspetti del progetto Gran Manze, ribadendo le grosse opportunità per il territorio e chiedendo pubblicamente alla comunità di accogliere i loro investimenti milionari. Alcuni di questi aspetti però rivelano una certa leggerezza di valutazione, soprattutto di tipo ambientale, mentre altri svelano dei veri e propri retroscena che non possono passare in secondo piano. Molte criticità comunque erano state già messe in rilievo attraverso un nostro recente comunicato dove si è anche divulgata la risposta ufficiale della Giunta regionale alla nostra interrogazione.Prima di tutto si è scoperto che nessuno finora era “titolato a parlare per conto della Granarolo”, per questo motivo ci risultano ora quantomeno ambigue le diverse conferenze stampa monotematiche del Sen. Ruta nelle quali si è praticamente auto conferito il ruolo di promotore ufficiale del progetto sciorinando dettagli dello stesso che veramente già al momento sembravano imprecisi.

Ci chiediamo a questo punto perché un esponente del PD in Parlamento abbia esercitato questa pressione: forse il progetto della Granarolo ha anche una valenza politica e partitica nazionale?Inoltre la Rancho Gran Manze srl, denominazione della società in questione che trarrà ricavi quasi esclusivamente (98%) dalla diaria di 2,90€/gg per capo che gli allevatori italiani pagheranno per “parcheggiare” per quasi due anni ogni manzetta del proprio allevamento, ha un capitale sociale di 10mila euro, è composta per ora solo da dieci soci (tra i quali Granarolo spa) e il contributo pubblico di oltre 20milioni di euro erogato dal Min. dell’Agricoltura (tramite Accordo di filiera) dovrà essere rimborsato in parte a tasso agevolato, in parte a tasso corrente. È di primaria importanza per la Granarolo quindi la necessaria, diciamo essenziale, ricerca di risorse monetarie: attraverso nuovi e tanti soci che si accolleranno il debito ai quali, solo nel caso molisani, si darà la possibilità di entrare nella filiera e attraverso richiesta alla Regione di disponibilità al cofinanziamento, alla quale peraltro era stato già dato un primo rifiuto, come si evince dalla risposta alla nostra interrogazione di cui sopra.Le rassicurazioni della Granarolo riguardo alle problematiche di natura ambientale, non convincono, e non appagano i dubbi dei cittadini molisani riguardo ai problemi legati all’inquinamento dell’aria, al consumo delle risorse idriche, ai rischi derivanti dal massiccio utilizzo di antibiotici, ed alla cementificazione del territorio. Cerchiamo di spiegare nel dettaglio da dove nascono questi dubbi.La messa in opera di un tale impianto di allevamento con la presenza di 9000, forse 12000 manze, (ricordiamo che abbiamo a che fare con animali che arrivano in stalla ad un peso vivo di 50 kg, per arrivare a 500-600 kg alla fine del ciclo) in un area di soli 80 ettari, per quanto si possano mettere in pratica le migliori condizioni di allevamento, e non è detto che si riesca in tale proposito in quanto i costi di gestione per tali misure di prevenzione sono esorbitanti, rivela comunque una eccessiva concentrazione di capi/ettaro che determina un carico su metro quadro di circa 60 mq/capo. Tale densità di carico quindi non rappresenta una condizione di benessere tale da escludere un utilizzo massivo di antibiotici, e una disponibilità di 60 mq riesce appena a soddisfare un minimo di ginnastica funzionale ma non basta a determinare quelle condizioni ambientali che ottimizzano il migliore sviluppo del sistema immunitario e ad impedire l’insorgenza e rapida diffusione di epidemie (es. bluetongue, di cui ultimamente si è tornati a discutere anche in ambito regionale).Riguardo all’inquinamento dell’aria, come anche la Granarolo specifica, dipende dai venti, quindi diventa una variabile molto discutibile e non ponderabile se si fa riferimento alle caratteristiche microclimatiche; inoltre un trattamento con prodotti antifermantanti di natura sintetica che potrebbe contenere gli odori non può essere utile, in quanto creerebbe problemi al compostaggio successivo dei reflui.Il consumo di acqua che necessita un tale impianto, stimato in 54 litri medio annuo per capo/gg, porta ad un ulteriore depauperamento delle risorse idriche di un territorio che già presenta problemi legati al deficit idrico soprattutto nel periodo estivo.
Le strutture per i ricoveri degli animali, per quanto non necessitino di pareti laterali, ma soprattutto di tettoie, presentano basi di appoggio al suolo che non possono venir meno dal supporto in cemento. Se moltiplichiamo il dato puntuale per gli 80 ha di estensione dell’impianto, siamo così sicuri di non poter parlare di forti impatti legati all’impermeabilizzazione del suolo?Va inoltre contestato al progetto Gran Manze il vantaggio di natura economica, che determinerebbe una necessità per l’impianto a pieno regime di 50 addetti; ma se valutiamo l’impianto in Spagna, si rileva che gli addetti occupati sono 33. L’impatto sul territorio per le aziende agricole, a vocazione viticola, olivicola e ortofrutticola, di alta qualità, sarebbe inoltre legato all’assorbimento di tutti gli odori dei reflui e delle fermentazioni successive che avvengono nelle concimaie. Nel complesso si avrebbe un bilancio negativo in termini occupazionali, in quanto ai famigerati 30-40 posti impiegati dalla mega stalla andrebbero sottratti i lavoratori attualmente impegnati nelle aziende agricole della zona, oltre alla mancata possibilità di sviluppare turismo rurale, che un’ambiente naturale ed incontaminato può offrire.Si parla di approvvigionamento alimentare, come possibilità di sviluppo dell’agricoltura dell’area, ma questo aspetto è contestabile, in quanto i fabbisogni alimentari delle manzette sono particolari e non richiedono quantità elevate di alimenti per capo; basti pensare che solo dopo lo svezzamento le manze cominciano ad alimentarsi con piccole quantità di fieno, e pochissima paglia, fino ad arrivare ai 2 anni di età quando una manza ha un fabbisogno di 6-7 kg di ss/giorno, che tradotto in fieno 3-4 kg, e 0.5 kg di paglia, il resto sono cereali e mangimi che vengono acquistati sul mercato globale, cioè dove il prezzo è più basso, e sicuramente non in Molise. Riguardo ai sottoprodotti dell’industria sono utilizzabili solo quelli di alcune aziende: zuccherificio, con le polpe e melasse, trebbie di birra, bucce di pisello, ma l’utilizzo procapite di tali sottoprodotti non supera il 0.7-1 kg capo/ giorno, quindi non abbiamo un consumo di grosse quantità. A questi va aggiunto un fabbisogno di paglia di circa 2-3 kg capo/giorno, per la costituzione della lettiera, giaciglio per le manze.Per quanto riguarda il compostaggio, vista la grossa mole di materiale a disposizione, richiede delle tecnologie di un certo costo e professionalità nel mettere in opera tale pratica, estremamente delicata e pericolosa, per cui sarebbe opportuno conoscerne anticipatamente alcuni dettagli.In definitiva, un’ultima grossa perplessità che ci induce a respingere il progetto Granarolo, sta nel modello di agricoltura proposto. Un’agricoltura che pone le economie di scala alla base del piano aziendale, dove le varie voci che compongono il bilancio, come il lavoro, l’alimentazione, sono solo dei costi di produzione da abbattere, dove l’animale in oggetto è visto come strumento, come “animal machine” , e dove la qualità dei prodotti non è contemplata, mentre l’elemento di base rimane la mera quantità , a basso costo di produzione. Riflettiamo insieme, questo è un modello che ormai conosciamo e che nel corso degli anni, nell’illusione di poter competere con realtà estremamente diverse dalla nostra, ha prodotto solo maldestri scimmiottamenti delle realtà produttive inizialmente auspicate (non solo nel mondo agricolo e gli effetti ahinoi, sono sotto gli occhi di tutti).La visione che il MoVimento 5 Stelle ha del comparto agricolo, invece, parla di qualità dei prodotti, di qualità delle condizioni di lavoro degli operatori agricoli, di rispetto del territorio e dell’ambiente, dove uno sviluppo agricolo sostenibile va di pari passo con lo sviluppo economico, anche col turismo e la cultura che un territorio, attraverso le tipicità delle tradizioni eno-gastronomiche, mette a disposizione. In Molise l’elemento target della politica di sviluppo agricolo è, e deve rimanere, la piccola e media azienda, la sola che nei tempi è riuscita a garantire il giusto apporto dei fabbisogni alimentari dei consumatori e uno sviluppo integrato con le disponibilità e peculiarità del territorio.Eppure qualcosa non torna, ascoltando la tv, leggendo i giornali, ci pare di capire che questa visione dell’agricoltura e del territorio non appartengano solo al M5S (basta guardare i vecchi programmi elettorali per rispolverare la memoria). Pare infatti evidente che ci sia qualche politico nostrano che crede sì (a chiacchiere) nel Km0, nella filiera corta, nel turismo enogastronomico e nel marketing territoriale, ma allo stesso tempo veda di buon occhio un mega impianto basato su presupposti di sviluppo completamente in antitesi.Allora a distanza di qualche mese dall’insediamento del nuovo Consiglio Regionale e approfittando della discussione in divenire in merito al futuro PSR, ci pare il caso di chiedere una volta ancora ai nostri amministratori: qual è il modello di agricoltura che si vuole perseguire?

GDL Agricoltura

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