La riflessione/ Politica e società, mondi distanti

Più o meno a ridosso di Tangentopoli, andava per la maggiore una trasmissione condotta da Gad Lerner dal titolo: ‘Milano, Italia’, che in un certo senso era diventata la bandiera della denuncia dei fatti di malcostume e più in generale il grimaldello per forzare il vaso di Pandora contenente tutto quello che non andava nella nazione, senza risparmiare politici, imprenditori di grido, burocrati e semplici affaristi e quant’altro rappresentabile come di segno opposto rispetto al duro mondo del lavoro. Era il periodo in cui lo stato di sofferenza della gente faceva a pugni con lo stato di agiatezza, non solo economica, della politica. Ora, senza fare paragoni esagerati o fuori contesto (ad iniziare da quello storico), possiamo dire che in Molise c’è un clima sicuramente più soporifero rispetto a quello di inizi anni’90, anche meno teso, perché i comportamenti certamente non sono quelli; ma sotto certi aspetti ci sono delle similitudini, che adesso proverò a spiegare.

Si avverte anche oggi uno stato di sofferenza, anzi dal punto di vista economico è ben peggiore, perché il Paese è già stato attraversato da crisi diffuse, a partire dalla bolla speculativa del 2008 in poi. In Molise, inoltre, il tessuto economico era già fragile nei decenni precedenti e si reggeva su coraggiosi imprenditori, mentre i consumi erano garantiti da una classe impiegatizia e medio borghese numericamente ampia. Quel sistema, fondato sulle assunzioni, è crollato e la politica si è trovata impreparata a gestire il cambiamento. Ecco la similitudine con gli anni’90: da una parte c’è gente, che spesso soffre, da quella diametralmente opposta la politica che sta come allora, anzi meglio. E che non fa nulla per far sembrare la distanza meno evidente. L’immagine sintetica è questa: gli uni (i politici) sul piedistallo, gli altri (la gente comune) a terra, o, peggio, con le ruote a terra. Nel mezzo non c’è nulla ed il distacco è abissale e non accenna a diminuire. Le stanze del potere sono blindate, le comunicazioni scontate e fatte in maniera tale da non spiegare più di tanto e i palazzi istituzionali, ad iniziare dalla sede regionale di Via Genova, sempre più somiglianti alla ‘mitologica’ torre d’avorio.

In tutto questo non si ravvede differenza tra la precedente legislatura regionale e questa, sia dal punto di vista formale che sostanziale; alla fine, per dirne una, anche l’annunciato ‘spoil system’ da parte dell’attuale inquilino più prestigioso del palazzo della Giunta regionale, poi non si è visto, anzi si è tradotto in sistema che conferma negli incarichi strategici chi li gestiva anche prima. E’ una considerazione distaccata, che in nessuna maniera vuole sindacare persone o competenze: ma è un indicatore politico di continuità che poi, come detto, diventa continuità anche nello stile, che non era prima e non è adesso quello dell’apertura, ma al contrario di una certa reticenza ad ascoltare la gente e a farsi da questa condizionare nelle decisioni. Quindi il popolo stremato non ha colto segnali di novità ed è caduto nello sconforto.

Contestualmente, a dispetto di piani enormi d’investimento annunciati, non si vede il beneficio conseguente per l’economia locale; i commercianti non ce la fanno più, le partite Iva sono allo stremo, le strade del commercio e i luoghi del business largamente ignorati dal popolo in difficoltà. Se non ci sarà un’inversione di marcia, anzi se questa non è già iniziata, il futuro economico e sociale della regione passerà da grigio a nero; e in contesti del genere, con i rapporti già labili, si sa, qualche Masaniello improvvisato prima o poi ci si infila nel nome del populismo sfrenato. Con le conseguenze che l’instabilità politica può generare, in un quadro economico che, anche a causa della pandemia, è già disastroso.

Stefano Manocchio

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