Il film della settimana/ “Red Moon Tide” di Lois Patino (Spa)

Pietro Colagiovanni*

Lois Patino è un giovane regista spagnolo emergente e Red Moon Tide del 2020 è la sua ultima opera cinematografica. Girato in un villaggio di pescatori nella regione spagnola della Galizia, sua terra natia, è un’opera dai chiari connotati sperimentali.

La trama è esile ed è più un pretesto per descrivere panorami fisici e mentali che altro: tre donne arrivano nel villaggio per cercare un marinaio esperto, Rubio, forse scomparso in un naufragio. Ma il film non persegue una narrazione specifica, i personaggi, abitanti del posto, interpretano più che altro delle maschere, se parlano evocano, se si muovono esprimono qualche cosa che va oltre la realtà.

A dominare su tutto è la natura e soprattutto uno dei suoi componenti più ineffabili, da sempre fonte di ispirazione sempiterna per artisti e scrittori: il mare e soprattutto l’acqua. Il mare che può essere anche incubo, può essere anche il mostro come lo definiscono alcuni degli interpreti di questa rappresentazione più teatrale che filmica. La lunga scena sul finale in cui le acque escono possenti e potenti dalla diga realizzata in prossimità del villaggio sono evocative di questa forza primordiale, che può dare ma può anche togliere la vita, che è l’acqua.

Il tutto sullo sfondo di una luna rossa (che dà il titolo al film) che arrossa di sé l’intero ambiente, a testimoniare della vitalità sanguinolenta della natura. Più che ad un film, vista anche l’estrema cura posta nella fotografia, siamo di fronte ad una sequenza di installazioni artistiche legate da un esile e fragile meccanismo narrativo. La bellezza della Galizia e soprattutto della costa galiziana, spettacolare nella sua splendida dimensione selvaggia, aiutano a dare consistenza a questa sperimentazione, ma da sole non bastano.

Il film non riesce a superare la sua dimensione sperimentale, per quanto ben realizzata. La dimensione drammatica, tragica non arriva ed anche quella magica (alcune delle protagoniste sono chiaramente identificabili come streghe) non decolla. La dimensione estetica, dei colori, delle persone ricoperte da lenzuola bianche e disperse nella natura prevale su tutto, ma schiaccia così possibili altri significanti, resta pure contemplazione senza ulteriori vibrazioni.

Il cinema sperimentale comporta sempre dei grandi rischi connessi alla natura stessa di un esperimento: a volte riesce a volte, come è il caso di questo ben curato lungometraggio, non riesce.

Voto 2,5/5

*imprenditore, giornalista, fondatore e amministratore del gruppo Terminus

per commenti, recensioni o sollecitazioni e suggestioni cinematografiche potete contattarmi a colagiov@virgilio.it

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