Lavoro/ “Basta compromessi”: 2 milioni lasciano il posto di lavoro

Sempre più persone lasciano il proprio lavoro, alla ricerca di una collocazione più adeguata alle proprie conoscenze, non sempre meglio retribuita, per sfuggire all’esaurimento generato da una professione logorante sotto vari aspetti. Il fenomeno negli Usa l’hanno battezzato “Great Resignation”: un enorme aumento di chi lascia il lavoro, fenomeno in crescita anche in Italia Esperti e studiosi provano a fornire una spiegazione al fenomeno, dando anche suggerimenti alle aziende per convincere i propri dipendenti a non bloccare il fenomeno, ora anche in Italia si guarda a questo trend con una certa familiarità.

Un’analisi apparsa ha analizzato le Note trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie pubblicate dal ministero del Lavoro, emerge che il secondo trimestre del 2021 contiene un aumento considerevole del numero di contratti terminati, sono 484 mila le dimissioni registrate tra aprile e giugno 2021, l’incremento nel numero di dimissioni rispetto al trimestre precedente è del 37%, una crescita che raggiunge l’85% se si fa il paragone con il secondo trimestre del 2020 e del 10% se si guarda al 2019. Dai dati, delle comunicazioni obbligatorie, emerge che c’era un incremento delle dimissioni già nel periodo prepandemico, quello 2017/2019, poi si è verificato un crollo nel primo semestre del 2020, rispetto al primo trimestre 2021, l’aumento delle dimissioni è del +37,8%, se lo guardiamo sul tendenziale, quindi in confronto con il secondo trimestre del 2020, si osserva un +85,2%, questo è un quadro distorto dal confronto tra due trimestri pandemici.

Se confrontiamo il secondo trimestre 2021 con lo stesso periodo del 2019, prima della pandemia, l’aumento è molto più contenuto: un +10,1%, in linea con quanto avveniva già prima. L’aumento dunque già si stava registrando e il salto in avanti potrebbe essere anche dettato dal blocco della prima fase pandemica: “Il fenomeno va monitorato nei prossimi mesi e approfondito in tutte le sue dimensioni.

Siamo in un contesto che non può essere ancora definito post-pandemico e le dimissioni possono essere state determinate dai motivi più diversi: decise tempo fa e rimandate a causa dell’incertezza generata dalla pandemia, oppure possono essere state una forzatura da parte delle imprese che non potevano licenziare o incentivate in vista di una propria riorganizzazione. Uno studio condotto dall’IBM Institute rileva come una persona su quattro a livello globale intendeva cambiare posto di lavoro nel 2021, allo scopo di comprendere come siano cambiate le prospettive dei dipendenti negli anni pandemici. Tra le motivazioni che hanno spinto a questo cambiamento la principale era dettata dalla necessità di avere maggiore flessibilità del luogo di lavoro (32%),al secondo posto, la voglia di avere un incarico più mirato e soddisfacente (27%), alla domanda su cosa i datori di lavoro dovrebbero offrire per coinvolgere i dipendenti e trattenerli all’interno delle organizzazioni, i lavoratori hanno posto l’equilibrio tra vita professionale e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%) in cima alla loro lista di priorità.

L’aspetto economico non è l’unico fattore che porta a scegliere un lavoro e non è più neanche il principale” ma smart working, una maggiore discrezionalità, poter decidere più attivamente la propria attività lavorativa, ha evidenziato che i ritmi sostenuti fino a un anno fa potevano avere altre connotazioni, una maggiore regolarità, non solo lavoro.

Le dimissioni non sono legate ad una maggiore dinamicità del mercato del lavoro, i dati Istat mostrano altro, non si riscontra una crescita di occupazione stabile, siamo lontani dai livelli pre-pandemici: rispetto a febbraio 2020, siamo ancora sotto di oltre 300 mila occupati. Il lentissimo recupero occupazionale che si osserva è basato esclusivamente su occupazione precaria, il livello di occupati a tempo determinato ha superato i 3 milioni.

Il recente incremento di dimissioni si accompagna a una parallela dinamica del tasso di ricollocazione, segnalando un’accresciuta mobilità dei lavoratori dipendenti. Per l’insieme dei dimessi nei primi otto mesi del 2021 il tasso di ricollocazione tempestivo è risultato pari al 54% e se escludiamo i senior (over 54) arriva al 62% per cento (59% nel 2019). Emerge una netta differenza tra regioni del Nord e del Sud, segnalando un numero di dimissioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato nettamente maggiore nel primo caso, in raffronto tra il primo trimestre 2019 e quello 2021.

La crescita varia anche a seconda dei settori e il più coinvolto risulta essere quello nel comparto sanità/sociale, con un significativo +44% Il dato sembra riflettere l’allarme lanciato dai sindacati in questi ultimi due anni pandemici: operatori sanitari impegnati in prima linea nell’emergenza,  hanno preferito rassegnare le dimissioni dal lavoro, fortemente provati dagli sforzi fisici e psicologici. I Millennials (26-41 anni) e la generazione Z (under 25) sembrano affascinati dalla cosiddetta Yolo economy, la “You-only-live-once” economy, si vive una volta sola, non ha senso farlo male, legati a lavori insoddisfacenti che condizionano la propria vita.

In Italia la questione riguarda soprattutto i bassi salari e una domanda di lavoro poco qualificata. Un giovane formato, con alti livelli di istruzione e poche prospettive professionali, può decidere di cercare altrove, anche di emigrare. Tra i tanti italiani che emigrano all’estero, sono molti i laureati, alla ricerca di opportunità e possibilità per progettare il proprio futuro.

Alfredo Magnifico

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