Il costo del lavoro italiano cresce meno di quello europeo

Negli ultimi anni, i salari sono rimasti al palo, siamo diventati il fanalino di coda dell’Unione europea, purtroppo, l’aumento degli stipendi non sta andando di pari passo all’inflazione.

Il costo del lavoro in Italia in tre anni è diventato inferiore a quello medio europeo: 28,7 euro ora contro 28,8, infatti, un dipendente dell’Unione europea l’anno scorso è costato 31,8 euro ora, mentre in Italia 29,8.

Nel 2008 la differenza era a favore dell’Italia di 3,6 euro, quindici anni dopo è diventata una negativa di tre, nelle aziende con più di dieci addetti, probabilmente la differenza sarebbe maggiore se Eurostat prendesse in considerazione anche le micro imprese, il fenomeno negli ultimi anni è ha determinato l’accelerazione dell’occupazione che sta interessando.

Nel nostro Paese, tra la fine del 2019 e la fine del 2023, il costo del lavoro è cresciuto del 6,49%, non molto di più di quanto fosse salito nei quattro anni precedenti (4,86%), nonostante nel periodo più recente l’inflazione sia stata del 16%, mentre tra l’ultimo trimestre del 2015 e l’ultimo del 2019 era stata del 2,4%, il costo del lavoro medio europeo è passato da una crescita del 10,37% nei quattro anni precedenti al Covid a uno del 16,24% negli anni successivi.

L’incremento inferiore rispetto all’inflazione ha reso i lavoratori, soprattutto i nuovi, più economici per le aziende, ecco perché c’è più domanda, si assume di più e si è continuato a farlo anche nel 2023 e nei primi due mesi del 2024 nonostante un Prodotto interno lordo è tornato ai vecchi fasti dello zero virgola, a realizzare questa dinamica ha contribuito l’andamento del cuneo fiscale, cioè i costi non riguardanti i salari lordi.

Le imposte e i contributi a carico delle aziende tra fine 2019 e 2023 sono saliti addirittura meno che nel periodo precedente, del 5% contro il 7,22%. il cuneo italiano è  aumentato dieci punti meno di quello europeo,i salari lordi sono saliti meno dei prezzi, del 7,02% negli ultimi quattro anni, contro il +16,44% europeo.

La maggiore domanda di lavoratori è stata stimolata non solo dalle minori tasse ma anche dai minori stipendi, l’incremento del costo del lavoro e dei salari lordi è stato il più basso d’Europa, fatto positivo, gli aumenti che si sono verificati a Est, superiori al 50% in Romania, Lituania, Ungheria, Bulgaria, imparagonabili ai nostri, spiegano perché non si sente più parlare di delocalizzazione a Est, i loro salari sono sempre più vicini ai nostri.

Il costo del lavoro dei Paesi avanzati è salito di più che in Italia, in Spagna è aumentato del 13,55% tra fine 2019 e fine 2023, in Germania del 15,46%, nei Paesi Bassi del 16,38%.

La riduzione in termini reali del costo del lavoro e dei salari ha prodotto un aumento del tasso di occupazione maggiore di quello medio europeo: +2,8% contro +1,9%, mentre nel campo degli stipendi siamo stati ultimi, in quello dell’occupazione non siamo stati primi, sono molte le realtà in cui i posti di lavoro sono saliti più che in Italia nonostante le paghe hanno visto un incremento superiore, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Paesi Bassi e Irlanda e Grecia.

Recuperare competitività e aumentare il numero di lavoratori per farlo è stato diminuito il costo del lavoro, il lavoro sporco è stato lasciato all’inflazione, per ottenere quell’effetto non sono stati adeguati i salari all’aumento dei prezzi.

Perché il sacrificio non risulti vano e non finiamo di trasformarci in una realtà che compete solo sul prezzo, è il momento, dopo avere abbassato i costi del lavoro, di aumentare il valore e la qualità. 

Alfredo Magnifico

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