Editoria. Assostampa: iniziativa apprezzabile, ma il testo è da emendare

La proposta di legge per l’editoria varata dalla Giunta è lodevole, ma il testo ha bisogno di sostanziali modifiche. All’esecutivo va l’apprezzamento per il sostegno (tre milioni di euro nel  triennio 2015-2017) al mondo dell’informazione, alle prese con una profonda crisi. Positivo anche il fatto di aver attivato un Tavolo di concertazione con gli organismi di categoria e le aziende. Ben lontani dall’intenzione di sollevare polemiche tanto dannose quanto inutili, rileviamo, però, che il testo finale non è quello auspicato e concordato. Alcuni passaggi, non in linea con quanto definito al Tavolo, rischiano di rendere iniqua e inapplicabile la legge, ove mai restasse nella stesura attuale.
Diverse le cose da chiarire e da rettificare: il riferimento al costo lavoro generico va sostituito con le retribuzioni dei giornalisti dipendenti; il requisito del numero degli assunti non tiene conto che nel comparto coabitano due tipologie contrattuali, con inquadramenti e retribuzioni diverse, che non permettono la comparazione; lo sbarramento all’ingresso, come previsto oggi, impedisce la partecipazione ai bandi al 90% delle testate. Macroscopica appare, poi, la discriminazione verso le Tv locali che accedono ai fondi nazionali della legge 448, e per questo escluse dagli aiuti regionali. Sulla materia abbiamo più volte sottolineato che i concessionari delle frequenze hanno costi di gran lunga superiori agli operatori di rete (cioè chi trasmette su un canale in affitto), dovuti all’acquisto, alla manutenzione, alla gestione e alla sostituzione dei ponti radio. L’ultimo appunto va riservato al metodo di ripartizione delle provvidenze (65% costo giornalistico – 35% spese generali), che recepisce la proposta dall’Associazione della stampa, ma con una formulazione in delibera completamente diversa da quella originale, ostativa alla compensazione matematica e proporzionale tra le due tipologie di costi.
Nella convinzione che il Pdl licenziato abbia l’obiettivo dell’inclusione e non della discriminazione, riteniamo che già in sede di discussione in Commissione le forze politiche possono adoperarsi per sanare le discrasie presenti. Ove così non fosse, si darebbe vita ad un ‘mostro’ legislativo senza capo né coda, discriminante, fortemente sperequato, materialmente inapplicabile. Esattamente l’opposto delle manifestate intenzioni del legislatore e dei bisogni del settore.

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