#mecescappalarisa/1)Coltura; 2) Cottura 3) Cultura

Oggi mi è venuto in mente, parlando con una persona culturalmente elevata, ancora devo capire perché queste persone si ostinano a parlare con me, questa sequenza di parole assonanti, e mi è scattata l’idea di fare un parallelo al solito #corpedelascunzulatavecchia, con questo nuovo titolo.

Par condicio familiare devo specificare che mentre #corp… era un intercalare del mio nonno paterno, #mecescappalarisa, era un intercalare della mia nonna materna. In questo modo penso di aver stabilito la pace familiare, ammesso che mai ci fosse stata guerra.

In principio, come direbbe qualche scrittura, era la coltura. I bipedi umani capitati solo sulla terra, e non si sa ancora perché e per come, dovevano nutrirsi, anche allora o sin da allora, e quindi cercarono come fare e nel fare scoprirono, forse, che se non mangiavano qualche chicco di grano questi poteva germogliare e dare spighe con molti altri chicchi e si sarebbero potute sfamare più bocche. Poi iniziarono a concepire la zappa e quella bocche in più tornarono MOLTO utili per la comunità.

Dopo aver scoperto come si poteva coltivare il grano, ma sicuramente anche prima, i nostri antenati scoprirono che “cuotte è meglie ca crure” e quindi “si inventarono” la cottura dei cibi. Non si sa se la pasta al dente e la carne al sangue furono scoperte insieme perché c’era un nostro antenato che avesse molta fame o altro …. Non è dato sapere.

Passo successivo a queste cose di “panza e creanza” fu la terza “c”, non quella dei telefilm di canale , ma della “C”ultura. Iniziale molto importante che avrebbe potuto, ma dovuto, cambiare le sorti dell’umanità.

Non si sa se prima o dopo, ma la cultura la iniziarono ad usare solo per tramandare le preghiere delle messe, tanto è vero, tra l’altro, che la prima citazione in volgare italiano si riferisce ad una lite sui confini tra le proprietà del Monastero di Montecassino e il feudatario Rodolfo D’Aquino. “Libera chiesa in libero Stato” era di là da venire e quindi dovettero aspettare. Ma torniamo a noi: una volta salvato il discorso della coltura e della cottura, la cultura iniziò a vedere la luce nei confronti del popolo tutto con la comparsa dei fotoromanzi. I fotoromanzi degli anni Sessanta furono gli antesignani delle telenovela, i progenitori dei programmi televisivi di zia Mara e Barbaro d’Urso e scusate se non cito tutti, che portarono sogni nel cassetto a tutti gli italiani. Portarono solo i sogni, il cassetto lo avevano già e tra un’elezione e l’altra gli italiani leggevano Grand Hotel, lo leggevano anche gli uomini, anche se di nascosto, e si appassionavano alle storie.

Dagli anni Sessanta ad oggi sono cambiate tante cose ma l’italiano è cambiato o è lo stesso?

Ovviamente, parlando di cinquanta anni, l’italiano non può essere lo stesso e quindi la nostra griglia di partenza: 1)Coltura; 2) Cottura 3) Cultura rimasta tale o è cambiata?

Il problema è prorpio questo. Non credo sia cambiata come tempi di attuazione, ma è cambiata come modi di comunicare, e mi spiego: una volta la cultura doveva servire per far crescere le menti delle persone e dotarle di capacità autonoma di sintesi, parole difficili e pericolose. Al giorno d’oggi la cultura è la progenitrice dei fotoromanzi degli anni Cinquanta e serve solo per usare il telecomando e cambiare canale secondo la nostra necessità, o secondo le necessità che ci fanno sorgere gli altri. Quindi i tre punti di sono mischiati tra di loro, facciamo la spesa al supermercato dove troviamo sempre di tutto e siamo usciti fuori da quello che poteva/doveva essere il naturale senso delle cose, la semplicissima stagionalità. Sempre più spesso confondiamo la cottura con la cultura ed “ascoltiamo” i politici con la pancia. Aspettiamo che un qualsiasi politico ci dica quello che vogliamo sentire e non quella che è la vera, nuda e cruda realtà. Prendiamo decisioni secondo le occasioni del momento e non facciamo niente per cambiare le cose, non partecipiamo a niente, non vediamo quello da farsi ed all’ultimo momento decidiamo per chi votare in base ai proclami televisivi e sentendo solo chi urla più forte e fa un discorso che non sia di oltre quindici parole. Non ce la facciamo a leggere un libro, ma nemmeno un articolo di giornale, alle volte e sempre più spesso, e scambiamo per informazione quello che persone forse più ignoranti di noi scrivono sui social. Credo che ci sia la necessità di riprendere a parlare tra di noi bipedi umani in prima persona ed in un consesso civile dove ognuno possa dire la sua. Una volta si chiamavano dibattiti e li promovevano quelli che una volta si chiamavano, ma erano i partiti politici.

Va bene ho capito, anche questa volta ho scritto troppo, come dice il mio amico Nicola, ma voglio farlo lo stesso, ha i visto mai che qualcun lo legga?

Con affetto e stima, con sempre mai voglia doma vi saluto con il solito: statevi arrivederci.

Franco di Biase

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