di Stefano Manocchio
Inizio quest’intervista con un ricordo personale. Allora ero un giovane appassionato e giocatore dilettante di pallacanestro nelle serie minori ed avevo conosciuto il compianto Ugo Storto; in Largo della Maddalena l’incontro per un caffè perché da quelle parti albergavano alcuni dei giocatori. Storto si fece trovare puntuale con un giovane Enzo Milillo e parlammo un po’ prima di andare al bar. Per questo motivo da allora focalizzai la mia attenzione sugli spalti verso le gesta di quel giocatore dalle spiccate doti atletiche, molto forte e facente parte della squadra che aveva in Pizzirani il punto di riferimento in campo. Pizzirani, Milillo, Pagliusco, Bianchini, Salvatore e pochi altri erano quelli che stavano facendo conoscere Campobasso e il basket rossoblù finalmente fuori dai confini regionali; non in senso assoluto perché anche la Promozione allora abbracciava anche le province limitrofe, ma la D ( e poi la C) era tutt’altra cosa, un livello di molto superiore.
Dopo questa premessa passiamo subito alle domande.
Parliamo del suo arrivo a Campobasso
“Venivo dalle giovanili della Rodrigo Chieti (serie A2, ndr) ed ero anche aggregato, come riserva, alla prima squadra; mi venne proposto di andare a Campobasso per giocare dove c’era Stefano Pizzirani e per me era l’occasione per fare esperienza fuori casa. Devo dire che, per come è andata, si rivelò una scelta felice. Campobasso iniziava a conoscere il basket di un certo livello, l’ambiente era pieno di entusiasmo e la società era ben organizzata e gestita dai vari Di Vico, Varrone, Antonelli, Sardelli ecc… Si giocava nella vecchia palestra scolastica (quella dell’ITIS, ndr). Vincemmo subito il campionato di serie D e poi quello di C. Passammo a giocare al Palavazzieri, che era una palestra ‘allargata’ dove il calore del pubblico si sentiva eccome! Il basket era in crescita, fino ad allora c’era stato solo il calcio e i ricordi belli in campo sono tanti, ad iniziare dalla sfida ‘epica’ con il Teramo. Io ero giovane ed ho legato con i giovani, anche locali, come Ladomorzi e Sabatelli. Come non ricordare gli allenatori: ad iniziare dal compianto Ugo Storto, ma anche Contini. Avevamo un preparatore atletico bravissimo (Bruno Petti, ndr); io ero abituato agli allenamenti ‘pesanti’ tenuti da grandi preparatori, ma lui riusciva a farti lavorare duramente senza sentire poi la fatica. Era super. Quagli anni restano nel mio cuore ed abbiamo regalato alla città qualcosa di bello. Tra le esperienze sportive, esclusa Chieti, è quella che conservo nel cuore come la più importante e bella. Peccato che poi è finito tutto”.
Dopo come è proseguita la sua carriera cestistica?
“Dopo i tre anni a Campobasso sono partito per il servizio militare e poi ho giocato a Teramo in C con Castorina, in B a Chieti, Sulmona, con il Cus e ancora a Chieti. Ho avuto degli infortuni anche seri e credo di essere uno dei pochi in Italia a cui si è rotto per due volte il tendine d’Achille. Sono rimasto nel mondo del basket e sono presidente di società che milita nella B femminile e nella C Gold maschile. Da presidente ho avuto Pizzirani e Castorina come allenatori; quindi Campobasso è tornata più volte in mente nella mia carriera. ”.
E della città che vogliamo dire ancora?
“Il primo anno venivo il giovedì e mi allenavo mattina e pomeriggio, quindi non uscivo molto, ma i ricordi, come detto, li conservo nel cuore. Dal secondo anno ho vissuto a Campobasso tutta la settimana; stavo da un’affittacamere e la signora era bravissima e ci faceva anche da magiare, ci trattava come parenti. Ricordo Lupacchioli e il gran freddo; dovevamo aprire la portiera dell’auto riscaldando prima la chiave con l’accendino! Ricordo una città bella e tranquilla, la gente ci voleva bene”.
Un ricordo in particolare?
“La lista sarebbe lunga. Sicuramente la finale con Teramo; fu assegnato un arbitro poco gradito e questo generò maretta. Dovevamo affrontare una finale e andammo a giocare a tennis per scaricare la tensione. Sembra qualcosa d’impossibile pima di una finale; ma il clima di calore che ci avvolgeva ci permetteva di farlo e intorno a noi c’erano persone che ci facevano stare bene”.
Può tornare il grande basket maschile a Campobasso?
“Certamente, la città lo merita. Si tratta di trovare le persone giuste e sono sicuro che ci sono; basta la scintilla per ripartire. La femminile è nata dal nulla ed è arrivata ai massimi livelli; si può fare anche con la maschile, si tratta di mettere in moto il volano che poi fa girare il resto”.
Con questa speranza ci siamo salutati: anche stavolta si sono riaccesi i ricordi belli, sia per il cronista che per l’intervistato.
Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.