Da una rilevazione Confesercenti-Swg realizzato tra il 6 e il 24 luglio emerge che, i numeri sulle vendite, nelle tre settimane dei saldi estivi, confermano ciò che si vede per le strade: negozi semivuoti, pochi curiosi e nessuna coda davanti alle saracinesche, il 57% degli italiani non ha fatto acquisti, il 48% (1 consumatore su 2) ha investito per i saldi meno di 100 euro, il 31% (uno su tre) tra i 101 e i 250 euro mentre solo l’8% ha speso tra i 250 e i 500 euro per portarsi a casa l’occasione.
Il calo dell’interesse è stato sensibile: il 43% ha approfittato delle vendite di fine stagione e ha comprato almeno un prodotto, ma lo scontrino è più leggero: 146 euro il valore medio della spesa, da Nord a Sud, isole comprese, solo un italiano su 10 ha fatto acquisti per più di 250 euro, e appena il 2% ha investito oltre 500 euro per una spesa importante, magari decisa e ponderata da tempo, conferma è che le famiglie sono in sofferenza, soprattutto il ceto medio, confesercenti dice che i saldi comunque sono andati un po’ meglio dello scorso anno.
Con questi dati è impossibile raddrizzare una stagione che era partita male a causa del maltempo primaverile e che non ha fatto registrare numeri importanti, a maggio e giugno, in periodo pre-saldi, si era registrato un calo delle vendite (-5%) per abbigliamento e calzature, una botta terribile per i titolari di negozi, che non hanno sufficiente liquidità per fronteggiare scadenze, pagare affitti, stipendi e tasse anche perché i saldi di fine estate sono in realtà partiti all’inizio della bella stagione, il caldo vero è arrivato in concomitanza con i primi di luglio.
Il 40% dei consumatori si è affidato al negozio di vicinato il 38% al centro commerciale mentre il 22% ha fatto acquisti online (lo scorso anno era il 15%), i negozi storici e quelli di vicinato subiscono la concorrenza dell’e-commerce e delle grandi catene che fanno sconti tutto l’anno.
Per fronteggiare la situazione serve l’aiuto della politica, le Regioni devono rivedere le date, anticipare l’inizio dei saldi, altrimenti sarà un bagno di sangue. Per colpa della crisi, ogni giorno in Italia chiudono 14 negozi, chiudono battenti anche i fornitori per questo motivo, Confesercenti ha chiesto al governo Conte un tavolo per il rilancio del commercio, dal 2011 ad oggi sono spariti 32mila negozi, non solo di moda, perdendo 60 miliardi di spesa delle famiglie.
Anche per Confcommercio il 2018 si è chiuso ancora una volta in calo e i dati delle vendite nel fashion retail italiano di questo inizio d’anno sono state altalenanti, rimane troppa incertezza se manca la fiducia nel futuro e soprattutto le disponibilità economiche, anche i consumi rimangono al palo.
Il clima meteorologico ha fatto saltare la stagione, con un calo medio delle vendite nei negozi di moda italiani del 7% in aprile e dell’8% in maggio, con punte del 20/30% in meno rispetto all’anno precedente, circostanza che si ripete sempre più spesso in questi ultimi anni provocando ingenti danni economici e marginalità sempre più risicate al punto che, lavorando su collezioni stagionali, chiediamo che il settore venga assimilato a quello dell’agricoltura e di poter invocare lo stato di calamità del dettaglio moda”.
Nonostante qualche segnale positivo non c’è molto tempo per recuperare anche se è ancora presto per tirare le conclusioni sul 2019; in base alle prime rilevazioni, a 20 giorni dall’avvio dei saldi, si evidenza un calo medio delle vendite del 3%.
Il 52% delle aziende che hanno risposto ai questionari ha riscontrato in questo primo periodo un incremento o una stabilità degli incassi rispetto allo stesso periodo del 2018, occorre evitare l’aumento dell’Iva che comporterebbe un ulteriore crollo dei consumi e dare una bella sforbiciata, con un’auspicata riforma fiscale, alle tasse di famiglie e imprese per rilanciare i consumi interni. Le nostre aziende chiedono inoltre di lavorare almeno a parità di condizioni con quelle che si arricchiscono sul web senza versare un equo contributo al Paese.
Alfredo Magnifico