Mai più bambini in carcere: la tutela del rapporto tra genitori detenuti e figli minori

L’esecuzione di una pena detentiva, o di una misura cautelare custodiale, anche a dispetto del principio di personalità della pena ex art. 27 Cost., non spiega le sue conseguenze con la precisione di un laser unicamente nei confronti del condannato, ma incide pesantemente sull’intero sistema socio-relazionale del ristretto, soprattutto con riferimento alla stabilità e alla cura dei rapporti affettivi e alle modalità di esercizio delle prerogative familiari. In particolare, lo stato detentivo di un genitore ha pesanti ripercussioni sulla relazione con i figli minori che, a seconda dei casi, si troveranno a sperimentare una forzata separazione dal genitore ovvero una sorta di “istituzionalizzazione”.
Siamo, in pratica, di fronte a bambini che sono costretti a subire, da perfetti innocenti e senza colpa alcuna, la sorte giudiziaria dei propri genitori.Alcune ricerche psicologiche condotte nei penitenziari femminili italiani hanno evidenziato che la detenzione del genitore si rivela spesso un fattore disadattivo nella crescita del minore coinvolto.
Ovviamente le risposte dei bambini a queste esperienze di perdita variano da caso a caso, in funzione di alcune variabili quali l’età, la presenza o meno di un contesto familiare adeguato di supporto, la circostanza che i bambini vivano o meno all’interno del carcere.
Differenze notevoli, si evidenziano, poi, a seconda che ad essere ristretto sia il padre o la madre.In generale, dagli studi condotti emerge che la principale fonte di preoccupazione delle detenute madri concerne l’ambiente che i loro bambini sono costretti a frequentare: un ambiente carente dal punto di vista strutturale, caratterizzato da deprivazione sensoriale, pericoli diffusi, ritmi di vita alterati e imposti dall’esterno.
Analogamente, i detenuti padri sperimentano grosse difficoltà e profonda angoscia nell’esercizio della funzione genitoriale oltre le sbarre. Essi vivono, infatti, una doppia distanza: quella fisica dovuta all’allontanamento dal nucleo familiare e quella affettiva, connessa all’impossibilità di esercitare una funzione educativa e di condividere gli affetti nella quotidianità; ciò si ripercuote inevitabilmente sul diritto del figlio alla “presenza” paterna, seppur nella separazione del carcere, sul suo diritto all’affettività, seppur nella ristrettezza di spazi e tempi.
In risposta a tutto ciò, nell’ultimo ventennio, il legislatore ha cercato nuove e più efficaci soluzioni; trattasi, tuttavia, di soluzioni di compromesso: ciò è inevitabile perché la questione coinvolge interessi tutti meritevoli di tutela, ma spesso antinomici o quantomeno difficilmente componibili. Si va dall’esigenza di protezione sociale sottesa alla funzione penale, al diritto del detenuto all’affettività e, non da ultimo, al “superiore interesse del minore” a godere dell’affetto continuativo dei propri genitori.
Le principali novità sono state introdotte di recente con la Legge 21 aprile 2011, n. 62 in materia di diritto di visita al minore infermo, di criteri di scelta delle misure cautelari e di “misure alternative” al carcere. In particolare, il sistema delineato dalla citata legge si completa con la previsione di nuove strutture cui destinare madri e bambini (e, ricorrendo alcune condizioni, i padri): gli istituti a custodia attenuata (ICAM) e le case famiglia protette. Previsione, questa, di certo lodevole, che tuttavia, per lo meno fino all’adozione del D. M. 8 marzo 2013 a firma dell’ex Ministro della Giustizia Severino, ha dato adito a non pochi problemi interpretativi e applicativi, in assenza di indicazioni concrete rispetto alle caratteristiche strutturali che tali istituti devono avere, alla disciplina cui devono essere sottoposti, ai loro compiti ed attribuzioni.
È evidente, alla luce di quanto sopra brevemente accennato, che quello della genitorialità in carcere è un tema poliedrico, che include aspetti di diversa natura e rilevanza che richiedono di essere indagati nella loro intricata trama relazionale: il profilo normativo e l’assetto istituzionale e politico, i fattori di tipo strutturale, organizzativo, ambientale, sociale, culturale, professionale, e non da ultimo, psicologico.
Gli ultimi interventi legislativi hanno certamente suggerito l’abbandono di una visione meramente adultocentrica della materia, in cui ad essere tutelato in primis è il bisogno del genitore detenuto, e della madre in particolare, di tener con sé il proprio figlio; oggi, finalmente, appare centrale l’interesse protetto del minore a stare con la propria madre o comunque a instaurare e conservare relazioni significative con i propri genitori, ancorché ristretti.
Nel contesto di questa rivoluzione dei rapporti di prevalenza dei diritti sociali, va letta anche una recentissima sentenza della Corte Costituzionale. Con la Sent. N. 239 del 22 ottobre 2014 la Consulta ha, infatti, dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis comma 1 della Legge 354/1975 (Ordinamento Penitenziario), nella parte in cui non consente anche alle madri condannate per i reati ivi elencati di avvalersi della detenzione domiciliare. La Corte ha ravvisato una violazione degli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost. e, in particolare ha ribadito con forza che, se è vero che l’interesse del minore a fruire delle cure materne in modo continuativo non forma oggetto di protezione assoluta rispetto ad altre esigenze di rango costituzionale, in un’ottica di bilanciamento esso può restare recessivo rispetto all’esigenza di protezione della società dal crimine, a patto che tale esigenza sia di volta in volta verificata in concreto. Non è dunque sufficiente invocare la tutela della collettività dal crimine ancorandola a meri indici presuntivi, quali ad esempio la tipologia di reati commessi, così come prevedeva la norma censurata.
In conclusione, gli ultimi interventi normativi e l’orientamento giurisprudenziale or ora riportato, offrono un substrato solido perché si realizzi il “mai più bambini in carcere”!
Molto, però, resta da fare per superare le difficoltà di tipo logistico ed economico, evitando che la riforma resti un mero auspicio del legislatore. Purtroppo i dati statistici forniti dall’Amministrazione penitenziaria restano sconfortanti: la novella doveva essere pienamente attuata entro il 1 gennaio 2014 eppure ad oggi gli ICAM funzionanti sono appena tre sull’intero territorio nazionale.
La piena affermazione del diritto di questi bambini a non scontare pene di altri non può che essere considerata, allora, un punto di partenza e mai un punto di arrivo.
Dr.ssa Annarita Di Lecce – Studio Legale Tolesino

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