Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna chiedono più autonomia allo Stato. Chi difende il Sud?

Il 22 ottobre 15 milioni di italiani saranno chiamati a pronunciarsi in favore di una maggiore autonomia di Lombardia e Veneto rispetto allo Stato. L’obiettivo dei due Presidenti, Roberto Maroni e Luca Zaia, è quello di avere un forte mandato popolare teso a far aprire una trattativa col Governo per strappare nuovi poteri, ampliare la sfera delle competenze regionali e trattenere sul territorio una parte consistente del gettito fiscale, dei tributi locali e delle imposte che oggi vengono incassate direttamente dal Ministero dell’Economia. In modo più flemmatico, il Governatore dell’Emilia Romagna, nonché Presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccina, ha trasmesso al Governo una richiesta formale di apertura di trattativa sugli stessi temi per raggiungere il medesimo risultato. Ad oggi, dopo le vicissitudini traumatiche del Referendum della Catalogna, non è semplice prevedere quante persone si recheranno alle urne il 22 ottobre nel Lombardo-Veneto, così come avvicinandosi la conclusione della legislatura non è chiaro se il confronto sollecitato dall’Emilia Romagna si concluderà in tempo utile oppure no. Ciò che vien fuori però in termini politici è un dinamismo della parte più ricca del Paese che soffre per l’inefficienza dello Stato Centrale e prova a rimanere agganciata alle aree più competitive dell’Unione Europea allontanandosi progressivamente da Roma.

Il Patto di solidarietà nazionale sancito in Costituzione è andato in crisi. Sul piano culturale è passato il messaggio che è meglio far da sé, rinunciando alle responsabilità morali, politiche e istituzionali, che dovrebbero indurre le Regioni più sviluppate a farsi carico dei problemi generali dell’Italia, della tenuta democratica del sistema, della copertura del debito pubblico e degli investimenti in favore del Mezzogiorno per redistribuire la ricchezza prodotta, le opportunità di lavoro e per innalzare la qualità dei servizi pubblici e delle infrastrutture. Nella favola del lupo e dell’agnello, Esopo descriveva già da epoca remota come vengono regolati in natura i rapporti tra chi è più forte e chi è più debole. Fortunatamente nel corso del tempo, almeno nei paesi evoluti, la politica è riuscita a costruire un modello sociale ispirato a principi etici condivisi, ed a valori universalmente riconosciuti, superando la legge di natura o della giungla che dir si voglia. Sta di fatto che la crisi della politica ha lasciato un vuoto di ideali che i lupi del terzo millennio provano a riempire col richiamo ancestrale al proprio territorio per ammantare sotto il velo dei localismi un irritante egoismo del tutto sordo a qualsiasi principio di parità, uguaglianza, coesione solidale e unità nazionale.

Se lo Stato avrà meno imposte dal Nord, disporrà di meno fondi per garantire i servizi universali ai cittadini, aumenteranno gli squilibri e si accentueranno le migrazioni interne dal Sud verso le aree più sviluppate del Paese. Questo principio politico è culturalmente di destra, riprende la pratica di Sparta che buttava giù dalla rupe i bimbi più fragili, trascura gli insegnamenti umanistici di Atene, e abbandona al proprio destino le regioni in affanno del Mezzogiorno. La sinistra arranca nelle proprie divisioni e preferisce inseguire le mode anziché rilanciare i propri ideali, ma siamo sicuri che delegare alle destre il futuro sia un bene per l’Italia ?Il 22 ottobre 15 milioni di italiani saranno chiamati a pronunciarsi in favore di una maggiore autonomia di Lombardia e Veneto rispetto allo Stato. L’obiettivo dei due Presidenti, Roberto Maroni e Luca Zaia, è quello di avere un forte mandato popolare teso a far aprire una trattativa col Governo per strappare nuovi poteri, ampliare la sfera delle competenze regionali e trattenere sul territorio una parte consistente del gettito fiscale, dei tributi locali e delle imposte che oggi vengono incassate direttamente dal Ministero dell’Economia.

In modo più flemmatico, il Governatore dell’Emilia Romagna, nonché Presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccina, ha trasmesso al Governo una richiesta formale di apertura di trattativa sugli stessi temi per raggiungere il medesimo risultato. Ad oggi, dopo le vicissitudini traumatiche del Referendum della Catalogna, non è semplice prevedere quante persone si recheranno alle urne il 22 ottobre nel Lombardo-Veneto, così come avvicinandosi la conclusione della legislatura non è chiaro se il confronto sollecitato dall’Emilia Romagna si concluderà in tempo utile oppure no. Ciò che vien fuori però in termini politici è un dinamismo della parte più ricca del Paese che soffre per l’inefficienza dello Stato Centrale e prova a rimanere agganciata alle aree più competitive dell’Unione Europea allontanandosi progressivamente da Roma. Il Patto di solidarietà nazionale sancito in Costituzione è andato in crisi. Sul piano culturale è passato il messaggio che è meglio far da sé, rinunciando alle responsabilità morali, politiche e istituzionali, che dovrebbero indurre le Regioni più sviluppate a farsi carico dei problemi generali dell’Italia, della tenuta democratica del sistema, della copertura del debito pubblico e degli investimenti in favore del Mezzogiorno per redistribuire la ricchezza prodotta, le opportunità di lavoro e per innalzare la qualità dei servizi pubblici e delle infrastrutture. Nella favola del lupo e dell’agnello, Esopo descriveva già da epoca remota come vengono regolati in natura i rapporti tra chi è più forte e chi è più debole. Fortunatamente nel corso del tempo, almeno nei paesi evoluti, la politica è riuscita a costruire un modello sociale ispirato a principi etici condivisi, ed a valori universalmente riconosciuti, superando la legge di natura o della giungla che dir si voglia.

Sta di fatto che la crisi della politica ha lasciato un vuoto di ideali che i lupi del terzo millennio provano a riempire col richiamo ancestrale al proprio territorio per ammantare sotto il velo dei localismi un irritante egoismo del tutto sordo a qualsiasi principio di parità, uguaglianza, coesione solidale e unità nazionale. Se lo Stato avrà meno imposte dal Nord, disporrà di meno fondi per garantire i servizi universali ai cittadini, aumenteranno gli squilibri e si accentueranno le migrazioni interne dal Sud verso le aree più sviluppate del Paese. Questo principio politico è culturalmente di destra, riprende la pratica di Sparta che buttava giù dalla rupe i bimbi più fragili, trascura gli insegnamenti umanistici di Atene, e abbandona al proprio destino le regioni in affanno del Mezzogiorno. La sinistra arranca nelle proprie divisioni e preferisce inseguire le mode anziché rilanciare i propri ideali, ma siamo sicuri che delegare alle destre il futuro sia un bene per l’Italia ?

Michele Petraroia

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