La memoria e la passione di Domenico (Mencucce) Lanese. Uno scrittore geniale

Due tomi per complessive 1095 pagine (7,5 Kg. il peso) di cui un centinaio dedicate a “memorie fotografiche”, quasi tutte prese dall’archivio di un noto fotografo locale, Domenico (Demenecucce) D’Adderio. Pubblicato con il titolo “IL DIALETTO SAMMARTINESE DEL XX SECOLO”, con un contributo del locale Oleificio cooperativo e grazie all’impegno dell’Associazione culturale locale, la GRANDEONDA, che vede presidente un’appassionata e attenta Giovanna Di Bello, e segretario, Il dr. Giuseppe Zio, scrittore che ha pubblicato libri interessanti su San Martino in Pensilis, la sua carrese e altro.


Domenico ha voluto dedicare questa sua opera a sua moglie, alle sue tre figlie e a tutti i sammartinesi. Un lavoro non facile, intenso, che l’ha impegnato per 15 anni, fino alla presentazione nella sua San Martino, l’11 Agosco u.s., dove io sono mancato per altri impegni.


Il Dialetto, uno straordinario patrimonio umano, è l’espressione di una comunità che trova la sua identità nel territorio, quale contenitore di storia, cultura, tradizioni, oltre che rappresentativo di paesaggi e ambienti. Nel caso dell’Italia esso è la somma di mille e mille territori, e, pensando al Molise, di 136, la gran parte piccoli, ognuno a circondare un paese, una comunità.

Tradizione, quale trasmissione nel tempo, da una generazione a quella successiva, di memorie, notizie, testimonianze, l’intento che ha spinto Domenico a tentare la grande avventura, durata –come sopra dicevo – tre lustri e felicemente portata a termine con un lavoro importante, che, grazie alle parole, consegna, tramanda, affida a noi, ma soprattutto alle nuove generazioni, il passato, quale vissuto di valori e ricchezza d’insegnamenti.
Solo un amore profondo, costante, sincero per il proprio paese può spingere una persona a scrivere il dialetto e rimanere ad esso legato per tutta la vita, sapendo cogliere e raccogliere le novità proprie della lingua più viva, così legata alle parole della memoria.

Parole che ti portano a vivere il passato, soprattutto in questa fase della storia dell’uomo, quando l’omologazione è andata avanti, prima lentamente poi in maniera sempre più spinta, ed ha toccato ogni campo della vita sociale, politica, economica. Non solo il vestire, il mangiare, il ballare, ma anche il parlare, con le parole in inglese che ti raggiungono da ogni parte, come a testimoniare una soggezione culturale, per molti un vero e proprio servilismo, quasi sempre penoso, di chi crede di essere, ogni volta che dice yes al posto di sì, persona colta.


Non so se la mia sensazione è pena o fastidio, so che mi rifiuto di ascoltarli.
Diversamente l’altro giorno quando sono andato a San Martino in Pensilis a prendere il Dizionario dalle mani della presidente dell’Associazione la Grandeonda. C’era anche l’autore che vedevo per la seconda volta. Un signore di 88 anni, che, con il suo sguardo dolce dietro i grandi occhiali da vista, non riusciva a nascondere la curiosità e il piacere di incontrarti e di conoscerti. Ha cominciato a parlare ed a raccontare di quando, agli inizi dell’ultima grande guerra ha conseguito la licenza elementare e non ha potuto continuare negli studi;

Il lavoro di impiegato al Comune di San Martino e la necessità di conseguire, da privatista, la licenza media per poter continuare a svolgere il suo lavoro e vivere la tranquillità di un posto sicuro. Un uomo che un giorno stanco di passare tutti i pomeriggi a giocare a carte e a bere nel bar dove mi ha invitato a prendere un caffè, decide di utilizzare la sua fresca memoria e la passione per il suo luogo di nascita, una terrazza che domina le Piane di Larino e le colline che si allontano dal corso del Biferno e portano verso le terre dei croati, per scrivere e non dimenticare.
Un dono al suo Paese, e, visti i risultati, alla cultura e alla storia che questo suo territorio, come altri, continuerà ad esprimere dopo questa parentesi di cinquant’anni, davvero triste di un sistema che ha prodotto e, purtroppo, continuerà a produrre. con più determinazione, il taglio del discorso con i padri. Togliere al territorio, questo nostro unico e solo bene comune, così prezioso, i suoi valori e le sue risorse, e a noi l’identità.


Anch’io, per dirlo con la stessa parola ritrovata da Domenico, mi sento “cuerrive”, dispiaciuto, offeso da questo mondo affamato solo di denaro, che, non c’è dubbio, è importante e utile, necessario, se resta un mezzo e non diventa il solo fine di una vita. Quando è così è la fine, perché fonte di dissidi, scontri, guerre, distruzione di quei valori e di quelle risorse proprie di un territorio.


Le parole, quelle che Domenico ha raccolto e riportato nel suo Dizionario sono importanti perché permettono di riprendere il discorso con gli insegnamenti dei padri e del tempo che non va bruciato, ma vissuto. Senza soluzioni di continuità, soprattutto se Domenico Lanese da San Masrtino in Pensilis, un vero personaggio, viene chiamato, soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado, anche l’Università, per raccontare i fatti con la parlata del suo dialetto. Nel suo dizionario, se lo sfogli, trovi più di una parola, che da sola è un discorso, un racconto.Un invito, il mio, agli insegnati, ai dirigenti scolastici, non solo di San Martino in Pensilis, ma del Molise, di chiamare Domenico – un poeta, e, come tale, dotato di veggenza legata al passato – a raccontare il sogno del domani.
Pasquale Di Lena

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