Gli spazi espositivi del Palazzo Gil si aprono a un’altra grande mostra, ai ” frammenti di luce e di colore” dell’impressionismo, in un viaggio che ci restituisce la forza innovativa che artisti come Manet, Degas, Renoir, Cézanne introdussero nella pittura. La rappresentazione del mondo contemporaneo e della vita quotidiana, la capacità di cogliere e catturare la luce naturale, l’amore per gli spazi aperti, per la pittura en plein air, l’uso di colori accostati con nuove soluzioni cromatiche, l’influenza della fotografia, delle stampe giapponesi, il superamento dell’accademismo, portarono a esaltare lo sguardo dell’artista su un piano soggettivo e istantaneo.
Rivoluzione tecnica, rivoluzione nei contenuti, che hanno dato vita a quadri che mantengono intatta nel tempo la raffinata capacità di cogliere squarci della natura e della realtà urbana. Ogni artista con il proprio timbro e con la propria sensibilità ci condurrà nelle profonde trasformazioni in atto nella seconda metà dell’800, nella ricerca e sperimentazione attraverso la quale dare voce alle nuove istanze della società, al nuovo volto di Parigi “città della luce”.
Pittori anticonvenzionali e dalla vita giudicata “provocatoria e scandalosa”, ci consentiranno di osservare da vicino ciò che ha costituito base di studio, forma di interesse, oggetto di conoscenza sedimentata nel tempo. Si declina, così, ancora una volta, quello che è stato da sempre l’obiettivo della Regione Molise e della Fondazione Molise Cultura, aprire il nostro territorio ai grandi processi culturali nazionali e internazionali con un’interazione duplice, in uscita e in ingresso dei percorsi stessi, a testimonianza di una vivacità e di una qualità dell’offerta, incastonata in luoghi straordinari, in grado di fare conoscere le potenzialità del Molise e di costituirne un volano di sviluppo. Antonella Presutti Presidente Fondazione Molise Cultura
Le aree tematiche in mostra:
Sezione I
La rivoluzione realista e l’École de Barbizon. La strada verso l’Impressionismo
A metà dell’Ottocento, la pittura francese attraversò una trasformazione silenziosa ma incontenibile: una rivoluzione che non nacque nei saloni ufficiali, bensì nei villaggi di campagna, negli atelier improvvisati e nei campi fangosi dipinti dal vero. Il Realismo, guidato da figure come Gustave Courbet, rifiutò gli ideali eroici e mitologici dell’Accademia per dare dignità al quotidiano: contadini, lavoratori, paesaggi comuni diventavano protagonisti di un’arte nuova, diretta, concreta.
Era il mondo reale a meritare il centro della scena.
Parallelamente, nella foresta di Fontainebleau, un gruppo di artisti si riuniva attorno al villaggio di Barbizon. Corot, Rousseau, Millet e molti altri scelsero di vivere a contatto con la natura, dipingendola nella sua immediatezza, senza abbellimenti. L’École de Barbizon divenne così un laboratorio di osservazione pura, dove il paesaggio non era soltanto sfondo, ma un soggetto dotato di atmosfera, luce mutevole e verità poetica. Gli artisti uscivano all’aria aperta armati di cavalletti leggeri e tavolozze, cercando non la forma perfetta, ma la sensazione autentica.
Questo nuovo sguardo—più libero, più sensibile, più vicino alla vita—spianò la strada a una generazione che avrebbe osato ancora di più. Monet, Renoir, Sisley e gli altri futuri impressionisti ereditarono dai realisti il gusto per la sincerità del mondo contemporaneo e dai barbisonniers l’amore per la natura, colta nel suo istante fugace. Ma aggiunsero qualcosa di rivoluzionario: la centralità della luce, dei colori vibranti, dell’impressione momentanea che sfugge ai confini tradizionali della forma.
La rivoluzione realista e l’esperienza di Barbizon furono, dunque, il ponte essenziale verso l’Impressionismo, un percorso fatto di rotture e scoperte, di lente conquiste e intuizioni folgoranti. È su questo cammino che l’arte moderna iniziò davvero: davanti a un bosco, un cielo in movimento, un volto anonimo, e la volontà di dipingere non solo ciò che si vede ma ciò che si sente.
Sezione II
Il cammino impressionista
Il cammino impressionista rappresenta una delle svolte fondamentali della storia dell’arte moderna. Nella seconda metà dell’Ottocento, un gruppo di giovani pittori francesi scelse di mettere in discussione i canoni accademici, proponendo un nuovo modo di osservare e rappresentare il mondo. Lontani dagli atelier tradizionali, Monet, Renoir, Degas, Sisley e Pissarro iniziarono a dipingere all’aria aperta, sperimentando con la luce naturale e con una tavolozza più brillante e immediata.
I loro dipinti non cercavano più la perfezione del dettaglio, ma l’impressione visiva dell’istante: il variare dei colori al mutare del sole, il movimento dell’acqua, il ritmo della vita quotidiana. Questa ricerca portò alla nascita di un linguaggio nuovo, caratterizzato da pennellate rapide e vibranti, dalla frammentarietà della visione e da un rapporto diretto con la realtà contemporanea.
Rifiutati inizialmente dai Salons ufficiali, gli impressionisti scelsero di organizzare mostre indipendenti, affermando con determinazione il valore delle loro innovazioni. Queste esposizioni segnarono l’inizio di una progressiva trasformazione del gusto e della percezione artistica, aprendo la strada alle avanguardie del Novecento.
Il cammino impressionista non è soltanto la storia di un movimento, ma il racconto di una nuova sensibilità visiva. Un percorso che ha restituito centralità alla luce, al colore e alla percezione soggettiva, lasciando un’eredità duratura che continua a influenzare il nostro modo di guardare l’arte e la realtà.
Sezione III
Dopo la conquista impressionista: l’arte non è solo riproduzione.
Con l’affermazione dell’Impressionismo, l’arte europea attraversò una trasformazione profonda che superò definitivamente l’idea di imitazione fedele della realtà. Gli impressionisti avevano già spostato l’attenzione dall’oggetto al modo in cui esso viene percepito, inaugurando una nuova centralità dello sguardo individuale. Ma fu proprio dopo questa conquista che l’arte cominciò a interrogarsi su un principio ancora più radicale: rappresentare il mondo non significa più riprodurlo, bensì interpretarlo.
Nella scia di questo cambiamento, gli artisti esplorarono direzioni inedite. Post-impressionisti come Cézanne, Gauguin e Van Gogh trasformarono la visione impressionista in un linguaggio personale: strutturando la forma, amplificando il colore, caricando il quadro di emozioni o simboli. La natura, la figura e il paesaggio non erano più soggette da copiare, ma pretesti per elaborare una realtà interiore.
Questo nuovo approccio aprì la strada alle avanguardie del primo Novecento. Con i Fauves e i Cubisti, l’opera d’arte divenne sempre più autonoma, affrancandosi dal dovere di somigliare alle cose. La pittura iniziò a riflettere non ciò che l’occhio vede, ma ciò che la mente comprende, ordina o immagina. Il colore poté finalmente diventare materia espressiva libera, la forma un campo di sperimentazione, lo spazio un luogo da reinventare. “L’arte non è solo riproduzione” divenne così il nuovo postulato dell’età moderna. Era la conferma che il valore di un’opera non risiede nella precisione con cui imita la natura, ma nella capacità di proporre una visione, un pensiero, un’esperienza di senso. Dopo l’Impressionismo, la pittura non cercò più di rassicurare lo spettatore con la familiarità del mondo visibile: lo invitò,
piuttosto, a riconsiderare il modo stesso di guardare.







