Il film della settimana/“Favolacce” di Fabio e Damiano D’Innocenzo (Ita)

Pietro Colagiovanni *


Secondo film (2020) dei fratelli D’Innocenzo narra la vita, ma soprattutto i fallimenti della vita, di alcune famiglie che abitano in una periferia romana in una serie di villette a schiera. In un’estate in cui il caldo si trasforma lentamente da elemento fisico in sfondo metafisico le famiglie e soprattutto i loro figli, per lo più ragazzini nella prima adolescenza, evidenziano tutta la loro fragilità esistenziale. Il pretesto narrativo è un diario di una ragazzina del posto che diventa la base della narrazione.

E sotto l’apparente e tranquillizzante quadro di famiglie della media borghesia immerse nei loro riti quotidiani (il barbecue, la cena con i vicini, la festa dei ragazzini, la scuola) si cela una vera e propria bomba esistenziale, fatta di frustrazioni incolmabili, di smarrimenti e disorientamenti senza possibilità di bussole, di rabbia sorda e muta. Gli esiti saranno nefasti e diciamo subito che il film, quasi soffocante nei suoi colori estivi, e non lascia molto margine all’ottimismo, anzi non ne lascia nessuno.

I genitori (tra cui svetta un ottimo Elio Germano, perfetto nella sua recitazione asciutta e nervosa) sono immersi in una sorta di Truman Show a tinte fosche, un sogno con le tinte e i sapori dell’incubo, in cui recitano parti che non gli piacciono. Le vere vittime di questo vuoto, di questo sprofondo esistenziale sono i ragazzi, che a loro volta, grazie anche alla presenza di un cattivo maestro, escogitano vie di fuga da un presente che non capiscono.

Vie anche radicali, segno di un’insofferenza insopportabile. Il film è girato bene, ha un bella fotografia, adatta alla complessità del mondo che vuole descrivere, gli attori, ragazzi inclusi, sono bravi nelle loro interpretazioni. Il film ha, a mio avviso, anche una chiave di lettura politica non solo poetica. Descrive con grande plasticità un fenomeno in cui siamo immersi ma che non viene ancora percepito: il declino inesorabile, forse voluto da una certa politica, del ceto medio. Il mondo delle villette a schiera del film è un mondo in declino.

Il lavoro si precarizza, il tenore di vita prima dignitosa scivola verso la povertà e l’indigenza. Non c’è alcun ascensore sociale che potrà ridare speranza ai genitori e soprattutto ai figli di questo quartiere della estrema periferia romana. E la mancanza di speranza, la contiguità con la vera e propria disperazione rende i riti della media borghesia vacui, in alcuni casi fonte di fastidio e di insofferenza (esemplare è Elio Germano che distrugge una piscina da giardino da lui comprata, diventata punto di riferimento per le famiglie del posto). Un bel film, duro da vedere ma che fa pensare. E quando un’opera ti fa pensare vuol dire che è una buona opera, un’opera fatta bene. E questo, infatti, è un film fatto bene.
Voto 3,5/5

*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus

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