Il film della settimana/ “10 to 11” di Pelin Esmer (Tur)

Pietro Colagiovanni*

Esordio (2009) alla regia di un film di finzione della regista turca Pelin Esmer (prima aveva al suo attivo solo interessanti documentari) l’opera narra la storia di un anziano collezionista Mithat (lo zio della regista che interpreta se stesso) che vive in un appartamento ad Istanbul. Il suo destino si incrocia con quello del portiere dello stabile Ali, un giovane immigrato dalla provincia in cerca di uno sbocco lavorativo soddisfacente per sé e per la famiglia rimasta nel paese natio.

Un costruttore ha offerto agli inquilini del condominio, piuttosto vetusto, un’allettante alternativa abitativa in cambio della cessione con conseguente demolizione del palazzo. Mithat non vuole cedere anche perché è un collezionista compulsivo, quello che si definirebbe un accumulatore seriale e la sua casa è piena, stracolma di oggetti raccolti nel corso della vita.

Mithat vede in Ali colui che può mettere in salvo la sua sterminata collezione di oggetti e Ali, in cambio di un’integrazione della paga, accetta. Si sviluppa quindi un rapporto umano piuttosto profondo tra i due, provenienti da mondi assolutamente diversi, anche se alla fine i loro destini, inevitabilmente si separeranno. Il film non racconta molto altro ed ha un ritmo lentissimo, a volte quasi esasperante. Istanbul sullo sfondo, con il suo sviluppo tumultuoso misto ad una storia imponente, esprime il suo grande fascino e supporta il film, altrimenti gracile. I due protagonisti non sono inoltre campioni di simpatia anche se raccontano così la dimensione umana media.

Il primo, Mithat è un personaggio romantico, un uomo colto, uno scienziato frustrato nelle sue ambizioni e nelle sue aspirazioni. Ha risolto le sue contraddizioni diventando un accumulatore seriale, minando la sua salute e, per certi versi anche quella degli altri. D’altronde l’accumulatore seriale è diventato ormai un esempio di deriva psicologica tanto che negli Stati Uniti ci hanno costruito sopra un reality di grande successo. Anche il portiere non è esattamente uno stinco di santo e si approfitta, sia pure con un riscatto finale, delle oggetti che Mithat gli affida. Sullo sfondo una società in cui il danaro è il valore dominante, forse l’unico valore, valore che non lascia spazio a condotte (come quella di Mithat) non fondate sull’efficienza per alimentare in modo continuo il sistema.

Alla fine il film risulta molto faticoso davedere e lascia intatto il dubbio se si tratta di un film profondo oppure no.

Voto 2,5/5

*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus

per commenti, recensioni o sollecitazioni e suggestioni cinematografiche potete contattarmi a colagiov@virgilio .it

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