Basta parlare di pensioni, per giovani e donne bisogna dare futuro al lavoro

Impazza la discussione sul futuro pensionistico argomento continuo di distrazione di massa.

La tanto decantata quota cento ha prodotto una serie di gravi lacune, è vero, occorre correggere alcune “generosità” eccessive del passato, ma non è possibile che a restringere sempre di più siano i privilegi per alcuni.

A volte la lagna sulle pensioni allontana l’attenzione dal  lavoro, occorre parlare di LAVORO, presupposto indispensabile perché ci sia un possibile futuro (non solo pensionistico) per i giovani, occorre creare le  opportunità di lavoro.

Basta questo scenario, che ha conseguenze quotidiane sulla vita di lavoratori e imprese e che decide ogni giorno della chiusura o meno di stabilimenti, per capire che non solo la logica del muro contro muro non giova a nessuno, ma, aprire oggi un’ipotesi di uscita a blocchi enormi di lavoratori dal mondo del lavoro, senza programmare le entrate, significa mandare in tilt l’attività produttiva,  quota cento ha svuotato il settore della sanità e della scuola, le uscite di medici e insegnanti hanno aperto una falla enorme ,non colmata da nuovi ingressi.

Occorre ripensare il sistema delle relazioni industriali, tenendo conto  della grande trasformazione del lavoro presente e ancor più futuro, il vero adattamento alle sfide economiche e sociali si misura nei settori produttivi, nei territori e nelle singole aziende dove la legge dello Stato, generale e astratta, può ben poco.

Nel Periodo Pandemico sono andati perduti oltre un milione di posti di lavoro e la produzione di alcuni settori è praticamente crollata.

Qualche anno fa abbiamo subito l’enfasi del criterio della “rottamazione”, un pifferaio ci aveva illuso che le vecchie regole non andavano più bene e che serviva un vero cambio di rotta, fortunatamente chi voleva rottamare,si è autorottamato e sembra voglia prendere una strada diversa orientandosi sempre più, come Marco polo verso l’oriente.

Nel rinsavimento ci siamo accorti che “rottamare” tutto e tutti, compreso pezzi di sistema Paese, non era la strada del rinnovamento di cui aveva bisogno l’Italia …non era nemmeno la strada per scrivere regole.

Al paese mio si usava dire “Capiscesolo” quello che non usa confrontarsi perché sa tutto lui, anche lui si sentiva il mandrake della politica e non capiva quello che i nostri padri quando scrissero la costituzione avevano capito; le regole nuove non possano non venire che;dalla parte politica/governativa, e dalle  parti sociali Sindacati e Aziende, che poi sono chiamate ad applicarle e non dalla fantasia dell’uomo solo.

La ripresa delle attività, con l’arrivo degli aiuti economici dall’Europa, spero non si trasformi in un’allegra mangiatoia di loschi affari.

Penso che si dovrebbe dare il via a una pulizia della società e gettare le basi per un rinnovato sistema di “relazioni industriali” e fornire in via sussidiaria e condivisa risposte sostenibili ai problemi del lavoro, delle imprese e dei lavoratori.

Quel che non è chiaro a molti è che, in questa fase ci troviamo in una situazione realmente straordinaria, occorre fronteggiare una crisi e un ciclo economico negativo di un anno e mezzo di fermo, come se fossimo tutti belle addormentate, che al risveglio devono riavviare se stessi oltre alla macchina produttiva.

Siamo, inoltre, di fronte a profonde trasformazioni geopolitiche e demografiche che si sommano a innovazioni tecnologiche che stanno rapidamente espandendo il ruolo dell’automazione e della digitalizzazione all’interno delle fabbriche e di tutti i luoghi di lavoro.

Il rischio più probabile sarà tornare lentamente ai livelli produttivi pre-crisi, senza che ci sia un parallelo recupero dei posti di lavoro, o non salvare i posti ancora in bilico che potrebbero inesorabilmente saltare con lo sblocco dei licenziamenti e con l’inserimento di macchinari per mansioni esecutive e routinarie che prima spettavano ai lavoratori.

La mia fortuna è stata quella di vivere all’interno della Cisl un periodo di grandi idealità e con persone di spessore che sapevano utilizzare menti di elevato ingegno per lanciare slogan e idee, lo stesso era all’interno delle altre organizzazioni sindacali, Luciano Lama-Pierre Carniti- Giorgio Benvenuto, nessuno dei tre arrivava ai quarant’anni, al di là delle diverse idealità avevano carisma, spessore e capacità indiscutibili.

Oggi i soggetti sindacali tradizionali subiscono il ricatto di forti lobby all’interno formate da organizzazioni di pensionati che trascinano l’asino dove meglio credono, perché sono loro a tirare i cordoni della cassa all’interno delle organizzazioni, pronte a portare in piazza pullman stracolmi di anziani e di conseguenza spostare il luogo della contesa dai tavoli alla piazza, dove il dialogo non è possibile,soprattutto in tempi di votazione.

In questo contesto, per molti versi drammatico, sono necessarie posizioni davvero nuove e coraggiose, che nei sindacati tradizionali ormai stantii, francamente non vedo, capaci di invertire le logiche del passato e cambiare mentalità di gestione delle relazioni industriali, lo dico chiaramente… senza paura: non senza sacrifici, non senza generare antipatie e impopolarità, sia sul fronte imprenditoriale sia su quello sindacale.

Occorre avere la prontezza di una visione globale come nel dopoguerra, con riforme che non possono giocarsi sul breve termine e che richiedono piuttosto il contributo di persone di buona volontà che si facciano carico di scelte di lungo periodo in sintonia col cambiamento di un’epoca, che è poi niente altro che il radicale mutamento del modo di fare impresa e di lavorare;” cultura-lavoro-sindacato”.

In tale prospettiva credo che; il fronte dei sacrifici e degli scambi reciproci debba essere quello della produttività, della formazione, della partecipazione e del ripristino dei diritti minimi lesi.

Spesso si considera la produttività come l’unico oggetto di contesa tra le parti, non come un elemento di scambio e partecipazione.

In uno scenario professionalmente mutevole, con una globale ricostruzione si tratta di quattro aspetti inscindibili; la disponibilità a salario e diritti minimi per i nuovi lavori, ad aumenti salariali legati alla produttività da parte dei lavoratori è realistica solo se si inizia un vero cammino verso modelli partecipativi di gestione della impresa da un lato, e dall’altro la promessa che l’impresa fornisca la formazione necessaria per far sì che l’aumento di produttività non sia dato unicamente dall’aumento delle attività e del carico di lavoro, ma da una vera innovazione dei processi produttivi e dei mestieri necessari a governare il cambiamento in atto.

La Formazione sarebbe una tutela rispetto al rischio di disoccupazione tecnologica che può essere combattuta con investimenti per il welfare della persona e la riqualificazione dei lavoratori.

Per fare questo occorre rimboccarsi le maniche, aprire un tavolo di concertazione, tra tutte le parti.

C’è in gioco molto di più di uno scontro di posizioni, c’è in gioco il lavoro e il suo futuro nel nostro Paese.

Alfredo Magnifico

Segretario Generale

Confintesa Smart

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