Agricoltura italiana ad obsolescenza programmata?

Ma davvero si sa in cosa consiste il Green New Deal (Nuovo Patto Ambientale), questa rivoluzione sostenibile, questa svolta ambientale che vuole dare l’UE? In sintesi dovrebbero essere misure concrete, nuove leggi ed investimenti da realizzare nei prossimi 30 anni, utili all’emergenza dei cambiamenti climatici.
Il Green Deal europeo dunque, riguarderà tutti i settori dell’economia, in particolare i trasporti, l’energia, l’edilizia con i relativi settori industriali quali quello dell’acciaio e del cemento, i prodotti tessili, le sostanze chimiche e l’agricoltura.
Si tratta di una legge europea sul clima e sulla politica ambientale-economica-sociale capace di attuare in maniera sostanziale una strategia di crescita mirata a trasformare l’economia della UE per un futuro sostenibile, ed arrivare entro il 2050 ad emissioni gas effetto serra pari a zero.
Questo in generale e nel pensiero collettivo. Ma sarà proprio così?

In riferimento al settore agricolo, e nello specifico per quei milioni di piccole e medie aziende agricole che producono gran parte delle derrate, in concreto, la PAC è già diventata, e potrebbe esserla di più la nuova, il loro definitivo KO. Secondo Eurostat, i contadini dell’ UE sono diminuiti tra il 2003 ed il 2013 di oltre un quarto: sono scomparse ben 4,2 milioni di aziende. L’85% disponeva meno di cinque ettari di terreno agricolo. Le perdite maggiori si sono avute in Romania, Polonia ed Italia. Nella nostra “Bell’Italia” hanno chiuso i cancelli ben 600.00 aziende.

Peggio negli ultimi anni.
Si calcola che il 2% dei beneficiari della PAC abbiano ricevuto il 30% di tutti i pagamenti diretti, a fronte di un 80% di piccole imprese agricole che hanno ricevuto solo il 20% degli aiuti. Fermo restando, e le statistiche non ne tengono mai conto, che circa il 40% degli agricoltori dell’UE non ricevono alcun aiuto comunitario.

E ora, nonostante le rassicurazioni (!!) delle grandi lobby agricole nazionali, Confagricoltura e Coldiretti incluse, le proposte presentate sulla PAC 2023-2030 dal Parlamento e dal Consiglio UE di ecosostenibilità ambientale ne hanno ben poco.
 E ciò ad affermarlo è nientemeno che il vice presidente della Commissione Frans Timmermans, incaricato della transizione ambientale.
Testualmente: ” Vogliono continuare con una politica agricola che non è sostenibile e che non può andare avanti così”.

Entrerà per i prossimi 7 anni una somma pari a ben 390 miliardi di euro, oltre un terzo del bilancio comunitario, che sicuramente farà gola a molti; dai grandi proprietari che vogliono continuare ad imporre le loro produzioni intensive ed inquinanti per restare competitivi sul mercato mondiale della globalizzazione, alle multinazionali dell’agro-business per la vendita dei loro prodotti (diserbi, concimi, etc.).

Altra dolente nota. Basti pensare che il 20% delle aziende agricole europee intasca ben l’ 80% dei sussidi PAC legati all’estensione dell’azienda e non a quanti la coltivano o alla produttività della medesima. Logica è che questi sussidi europei per la gran parte finiranno nelle tasche dei grandi latifondisti.  E si parla della regina d’Inghilterra; il principe di Monaco; il colosso dolciario, la tedesca Haribo; ai produttori di cemento e asfalto (perché costruiscono infrastrutture utili al settore agricolo) e addirittura a politici-imprenditori dell’Est come il premier ceco Andrea Babis, il più grande imprenditore agricolo europeo.

Se questa è la realtà si può sicuramente affermare che l’agricoltura europea è stata di fatto “appaltata” alla grande industria, alla produzione di massa ed al grande business e, di più,  a pensare che la PAC sia sostenuta da una rete di interessi tali che mirano a bloccare ogni cambiamento. C’è poco da stare allegri.
E ritorna così attuale, sfortunatamente verità italiana, la frase di gattopardiana memoria: ” Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”

In conclusione, il Green New Deal unito alla PAC 2020-2030 per l’agricoltura italiana, ripetendomi, e mi riferisco ai piccoli e medi agricoltori, potrebbe apparire come una strategia pianificata, ” a tempo”, per farli scomparire; un’agricoltura ad “obsolescenza programmata”.

                                                                                                                                  Giorgio Scarlato
                                                                                                                                  Comitato spontaneo agricolo “Uniti per non morire”
                                                                                                                           

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