Sull’abolizione delle tasse universitarie: verità e ipocrisie. Intervento di Palmieri

Rattrista, ma non sorprende, che la proposta del Presidente Grasso di abolire le tasse
universitarie abbia suscitato un incredibile fuoco di fila di critiche, velate di ironia e sprezzo, da parte di esponenti di diverse parti politiche e non.
Da Giorgia Meloni (“se Grasso è di Sinistra io sono Mao Tse-Tung”), a Carlo Calenda
(“proposta alla Trump che favorisce i ricchi”), da Matteo Renzi (“favore ai ricchi e fuori
corso”), a Tommaso Agasisti (“boutade irrealizzabile”) e Tommaso Nannicini (“vuol dire
utilizzare i tributi di tutti per pagare un servizio che avvantaggia soprattutto le classi medioalte”).
Siamo in campagna elettorale e fa specie che il leader di LeU abbia, per primo e forse
rubando la scena ad altri, avanzato una proposta su un tema tanto sentito dalle famiglie
italiane: quello del mantenimento dei figli agli studi universitari.
Dal mio punto di vista, a destare scandalo non è affatto la proposta di rendere gratuita
l’Università, come in Germania e Francia, quanto il tenore delle reazioni e delle critiche, che denotano o una scarsa sensibilità sociale ovvero, nel migliore dei casi, una limitata
conoscenza della realtà universitaria e del Paese.
Stupisce, in primo luogo, che si possa oggi affermare che il servizio universitario è
appannaggio delle classi medio-alte. Quasi un privilegio di casta. Se lo fosse diventato
sarebbe davvero un dramma. E’ infatti noto che quanto maggiore è il numero dei giovani
muniti di formazione universitaria tanto più elevato è il tasso di sviluppo economico di un
Paese (Germania docet…). Fortunatamente non è cosi, a meno di con considerare
appartenenti a classi medio alte il milione e passa di studenti con reddito e patrimonio
familiari da 0 a 30.000 euro annui (1.082.117 sul totale di 1.637.079: dati INPS).
Vero è invece che l’Università continua a costituire in gran parte del Paese l’unico
ascensore sociale ancora funzionante che induce famiglie poco abbienti a caricarsi di
enormi sacrifici, pur di garantire un futuro ai propri ragazzi.
Ma ancor più desta perplessità l’uso disinvolto dell’argomento che, a detta dei critici del
Presidente del Senato, rivelerebbe il carattere meramente populistico della sua proposta:
dicono i critici che gli studenti con ISEUU fino a 13.000 euro già sono esonerati dalle tasse
universitarie in quanto beneficiari della cd. No Tax Area, introdotta dalla L. 232/2016.

Si tratta di un argomento solo apparentemente solido, ma in realtà inconsistente. Si omette infatti di dire che l’esonero non si estende alla tassa regionale per il diritto allo studio (400 euro circa all’anno), che dunque tutti gli studenti continuano a pagare in aggiunta alle altre voci di spesa per il proprio mantenimento agli studi, e che non è stata varata dal governo una misura integralmente compensativa delle minori entrate che gli atenei statali patiscono per effetto dell’ ”esonero” attuato con la cd. no Tax Area. Il che si traduce in un ulteriore impoverimento dei servizi che le università, già fiaccate da anni di tagli, possono garantire agli studenti, indigenti e non.
In questa prospettiva si coglie pienamente la novità e la portata della proposta del
Presidente Grasso: proporre l’esonero delle tasse universitarie significa postulare nuovi e
sostanziosi investimenti dello Stato a favore delle Università.
Liberi e Uguali sembra perciò essere l’unica forza nel panorama politico italiano davvero
consapevole del ruolo cruciale della formazione universitaria per il futuro dei nostri giovani e per lo sviluppo e la crescita del Paese.
Gianmaria Palmieri.

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