L’analisi politica/ Elezioni regionali, il tracollo pentastellato

di Stefano Manocchio

L’analisi delle ultime elezioni regionali in Molise è da un lato estremamente semplice, visto l’esito finale e il differenziale perfino imbarazzante (quella che un tempo sarebbe stata etichettata come ‘percentuale bulgara’) tra il vincitore Francesco Roberti e il principale competitor, Roberto Gravina; ma dall’altro non privo di varie considerazioni, soprattutto sui comportamenti precedenti il periodo pre elettorale e, nello specifico, quelli tenuti dai vari partiti nella lunga fase delle trattative per la scelta dei due candidati presidenti e delle liste collegate.

Partiamo oggi dagli sconfitti principali, il centro sinistra.

Una rapida lettura dei dati porterebbe di diritto a considerare scevro da responsabilità il partito maggiore della coalizione, il PD, che in definitiva nella debacle generale ha ottenuto risultati ben diversi e certamente migliori rispetto agli alleati, risultando alla fine la seconda lista per percentuale, in termini assoluti, dopo Fratelli d’Italia e la migliore tra quelle che rappresenteranno le opposizioni in Consiglio regionale. Ora, se da un lato il risultato c’è stato (12% e la metà o quasi dei consiglieri d’opposizione), dall’altro una corresponsabilità nella sconfitta elettorale non può negarsi al partito ‘rosso’ per motivi che spiegheremo nel prosieguo dell’analisi politica. Diciamo che hanno fatto il compitino, senza infamia e senza lode, ma alla fine almeno quello è riuscito, più o meno. La lista di Costruire Democrazia ha anch’essa fatto il suo, visto che alla vigilia del voto la gran parte degli analisti consideravano che la stessa avrebbe raggiunto la rappresentanza in Consiglio regionale come unico obiettivo e questo è stato. I partiti minori della sinistra non hanno raggiunto il quoziente elettorale e viaggiano tra la delusione e la consapevolezza dello squilibrio annunciato tra le loro liste e quelle maggiori. “Last but not least” il Movimento Cinque Stelle: le note dolenti, bisogna dirlo, vengono quasi tutte da questo movimento politico, letteralmente imploso negli ultimi cinque anni in Molise. Vediamo perché.

a) Il ‘caso’ Gravina. Il Sindaco di Campobasso dovrà rivedere qualcosa nella sua politica, perché è uscito da queste elezioni con un risultato che descrivere deludente è riduttivo, visto che è stata più o meno un’ecatombe. L’avvocato campobassano aveva alle spalle numeri importanti: era riuscito a vincere le elezioni comunali ed a portare la gestione partitica monocolore, che non si vedeva dai tempi della DC, a Palazzo San Giorgio. La situazione ideale per governare indisturbati lontani da ipotesi di crisi. Gravina, quindi, almeno nel capoluogo di regione sul dato regionale avrebbe dovuto fare man bassa di voti e creare il differenziale per difendere la posizione: e invece forse proprio l’elettorato di Campobasso gli ha servito il piatto freddo con un gradimento tutt’altro che esaltante. La verità è che l’amministrazione Gravina a Palazzo San Giorgio non è mai entrata nel cuore dei campobassani e dopo alcuni anni il primo riscontro è senza appello.

b) L’alleanza PD-Cinque Stelle. E’ il punto dolente, mentre al contrario sarebbe dovuto essere quello di forza. L’accordo Conte-Schlein ha puntato tutte le carte sulle elezioni molisane, primo vero banco di prova dell’alleanza e per farlo ha forzato la mano e ‘annientato’ tutte le ipotesi precedenti, che sono state due: candidare alla presidenza Domenico Iannacone oppure Daniele Colucci. Sulla prima ipotesi si era concentrata l’attenzione di buona parte delle sigle minori della sinistra e la sua bocciatura ha generato un piccolo esodo, ad iniziare da Emilio Izzo e Nicola Lanza, che all’indomani della scelta di coalizione su Gravina hanno deciso di presentare una lista alternativa e fuori da ambo i poli. Il nome del magistrato, uscito in seconda battuta, era ben visto da ampi settori della società civile, ma poi PD e Cinque Stelle hanno forzato la mano e a mente fredda verrebbe da dire sbagliando, o almeno questo porta a considerare il risultato elettorale finale. La corresponsabilità citata in premessa deriva dal fatto che, almeno teoricamente, il nome di Gravina sia stato sponsorizzato e proposto dal PD e non inizialmente dal suo stesso partito.

c) Il ‘tracollo’ dei Cinque Stelle. E’ perfino imbarazzante paragonare i dati del movimento politico rappresentato in Molise da Antonio Federico con quelli della scorsa legislatura: crollo elettorale e riduzione della rappresentanza da 6 consiglieri a 2. Inoltre i pentastellati avrebbero vinto matematicamente le elezioni del 2018 alleandosi con il PD e non l’hanno voluto fare e adesso hanno riproposto il competitor principale rispetto al centro-destra e per la seconda volta consecutiva hanno perso.

Di materiale per discutere ce ne è in abbondanza, ma questo sarà compito dei vari partiti, a cui compete adesso l’analisi interna del dato elettorale e possibilmente la scelta delle decisioni conseguenti.

Seguiranno le interpretazioni del dato elettorale sull’altra coalizione.

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