L’intervento/Salario minimo: la soluzione per frenare il lavoro povero

Ogni tanto esce qualche indagine economica che scopre come la crisi, nella redistribuzione del reddito premia i pochi ricchi e penalizza i poveri ,infatti, Amazon, durante la chiusura totale,poichè l’online era l’unico modo di comprare beni necessari, ha prodotto utili stellari per i suoi azionisti, mentre le grandi catene dei tour operator e dell’hotellerie hanno registrato chiusure e perdite e ancora non sono in grado di assicurare la ripresa del lavoro per tutti i loro dipendenti.

Il perdurare della crisi accentua l’evidenza del disagio che caratterizza la situazione del lavoro, da una parte aumentano le dimissioni, dall’altro cresce la quota del lavoro non dignitoso con scarse tutele, poche garanzie su sicurezza del lavoro e sicurezza sociale, difficoltà nella rappresentanza sindacale, salari che non permettono una vita familiare dignitosa, già nella prima fase della crisi pandemica era emerso come alcune figure professionali, ritenute indispensabili, erano trattate economicamente e socialmente con scarso riconoscimento.

La definizione di povertà lavorativa fissa l’asticella al 60% del reddito mediano, ossia chi guadagna meno del 60% del reddito che interessa il 50% dei lavoratori è da ritenersi povero, oltre un quarto dei lavoratori ricade in questa fascia, soprattutto  lavoratori; stagionali, a tempo parziale o autonomi.

L’Europa ha indicato la strada, intervenire sul tema del lavoro dignitoso con l’introduzione del salario minimo, considerando il lavoro fonte di partecipazione alla costruzione del futuro comune, a tal fine, sono basilari innanzitutto il diritto al lavoro e i diritti del lavoro nella costruzione dell’Europa sociale , non si può non reagire al dato; “crescono i lavoratori che, nonostante risultino occupati, non riescono a uscire dal livello di povertà”.

Alimenta un po tutti la speranza che ci sia una forte ripresa economica capace di creare risorse necessarie per dare a tutti il modo di recuperare le perdite economiche.

Il prolungarsi della crisi sanitari con  le incertezze degli interventi legislativi  dell’ultimo periodo e la differenza delle scelte fra i diversi Paesi europei rischiano di accentuare paure irrazionali e comportamenti depressivi.

L’introduzione del salario minimo, nonostante la contrarietà, che sia fissato per legge,da parte di CGIL-CISL-UIL che non riconoscono che i minimi salariali fissati dai contratti settoriali a livello nazionale non hanno fatto crescere di un centesimo le buste paghe dei lavoratori,rimane un freno che rischia di fare perdere molto tempo.

Occorrerebbe fissare, per un periodo sperimentale, minimi salariali per legge o estendere griglie salariali basate sui contratti collettivi per i settori non coperti, il periodo sperimentale dovrebbe assicurare di arrivare ad una proposta condivisa con le parti sociali.

La tutela dei lavoratori e la crescita salariale chiedono più velocità da parte delle rappresentanze e da parte della politica, non si può continuare a preferire i sussidi al lavoro poiché le buste paghe sono più misere dei sussidi, occorre allungare il passo verso la definizione di un patto per il lavoro che dovrebbe sorreggere tutta la fase del programma Next Generation Eu per restituire dignità e valore al lavoro.

Alfredo Magnifico

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