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Lavoratori prigionieri di precarietà e salari bassi

Ci avviamo ad uscire fuori dalla Pandemia, nonostante ascoltiamo disperati appelli di imprenditori in cerca di manodopera, il mercato del lavoro italiano resta una realtà; malata, bisognosa di cure, ma soprattutto di politiche attive che tardano ad arrivare, siamo di fronte ad un lavoro caratterizzato da precarietà, vulnerabilità, insicurezza, povertà e di bassa qualità.

Il rapporto Istat 2022 certifica la caduta del lavoro a tempo indeterminato e tempo pieno, infatti, nel 2021 la totalità dei lavoratori occupati, a tempo indeterminato erano solo sei su dieci, mentre aumenta il tempo determinato, e di breve durata.

Il Rapporto Inapp 2022,(”Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro”), evidenzia come il trend in atto peggiorerà: i nuovi contratti di lavoro stipulati nel 2021 rafforzano la trappola della precarietà, ben 7 su 10 sono a tempo determinato, chi inciampa nella precarietà difficilmente riesce a liberarsene,infatti, in un triennio, il 35% a tempo determinato si è trasformato a tempo indeterminato, mentre il 30% prosegue come lavoro atipico e un 35% si trasforma per metà in disoccupati in cerca di lavoro e per metà addirittura in uscita dal mercato.

La formula del part-time interessa un quinto degli occupati e quello involontario, non scelto dal lavoratore ma imposto, nel 2021 ha coinvolto l’11,3% degli interessati contro una media Ocse del 3,2%, questi elementi espongono anche chi non è disoccupato al rischio povertà.

Il 23,3% dei lavoratori pubblici e privati, compresi i part-time e i part-year che hanno lavorato poche settimane o pochi giorni nell’anno (esclusi domestici, agricoli e autonomi) nel 2021 aveva, dati Inps, una retribuzione annua inferiore ai 780 euro al mese, la quota massima del Reddito di cittadinanza.

Nell’ultimo decennio, il tasso di «lavoro povero», cioè chi, pur lavorando, vive in una famiglia a rischio povertà, non è mai diminuito, ed è rimasto pari all’11,3%, cioè il 2,1% sopra quello dell’Unione europea, di conseguenza tra i lavoratori con reddito più basso, cioè sotto i 10 mila euro lordi all’anno (sono l’8,7% del totale) il 12% non è in grado di provvedere autonomamente a una spesa improvvisa essendo senza risparmi e non potendo ottenere crediti mentre il 20% riesce a fronteggiare solo spese fino a 300 euro, quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche.

Non tira aria migliore per i lavoratori che non rischiano la povertà, in Italia hanno stipendi che fanno arrancare per arrivare a fine mese, a causa della marcia indietro delle retribuzioni.

L’Italia nel panorama Europeo è l’unico Paese, che, in 30 anni, ha registrato un calo dei salari del 2,9%, a fronte di una crescita Ocse del 38,5%, nell’ultimo decennio il crollo retributivo medio è ancora più pesante: con meno 8,3%.

Ai bassi stipendi si contrappongono alte differenze tra chi guadagna poco e chi tanto, il Forum Disuguaglianze e Diversità, rileva che dal 1990 al 2017  l’indice di Gini, che misura l’equadistribuzione dei redditi da lavoro assegna 0 zero alla perfetta uguaglianza e 100 alla totale disuguaglianza, sarebbe  aumentato da 36,6 a 44,7. Le cause di tale dinamica salariale sono diverse, una di queste è il meccanismo di negoziazione dei salari.

Il 4% delle imprese dichiarano di applicare entrambi i livelli di contrattazione, aziendale e nazionale, in sette anni si è ridotto il numero di imprese che dicono di adottare un Contratto nazionale di lavoro (-10%), mentre si è più che duplicata la quota di aziende che dichiarano di non applicare alcun contratto (dal 9% nel 2011 al 20% nel 2018),  la   crescita di occupazione dello scorso anno (+314 mila unità a novembre 2022 rispetto allo stesso mese del 2021) da indagine della Fondazione Di Vittorio, risulta che l’aumento tendenziale è determinato da occupati over 64 (raddoppiati tra il 2008 e il 2022) un dato che fa aumentare l’età media dei lavoratori: gli over 50 sono il 40% del totale.

Alfredo Magnifico

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