La Cassazione sul Jobs Act, ha già ampliato la tutela reintegratoria

Il D.Lgs. 23/2015 -Jobs Act- già dal 7 marzo 2015 ha sottratto la tutela di reintegra prevista dall’art.18 “Statuto dei lavoratori” agli assunti a tempo indeterminato prevedendo, in caso di licenziamento “dichiarato illegittimo”, per assenza di giusta causa o di giustificato motivo, una monetizzazione “a tutele crescenti” ed in alternativa alla reintegra nel posto di lavoro, ha creato  due trattamenti differenti, in caso di licenziamento, determinati dalla data di assunzione.

La Corte costituzionale è intervenuta in materia di licenziamenti illegittimi, con due sentenze ed ha modificato, in modo significativo, le tutele per i lavoratori a cui si applica il cosiddetto Jobs Act, in tale contesto si colloca il referendum abrogativo del D.Lgs. n. 23/2015 dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale.

Le sentenze n. 22/2024 e la n. 128/2024, sono una svolta nel sistema di protezione contro i licenziamenti ingiustificati ed ampliano le ipotesi previste per la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, anche per i lavoratori sottoposti alla normativa del Jobs Act.

Con la sentenza n. 22/2024 la Cassazione ha  dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2, comma 1, del Decreto Legislativo. n. 23/2015, nella parte in cui limita la reintegrazione ai soli casi di nullità “espressamente previsti dalla legge”, cosi che la reintegra ora è riconosciuta in tutti i casi di nullità del licenziamento, anche se non espressamente previsti dalla legge, ma riconducibili ai principi generali dell’ordinamento.

Con la sentenza n. 128/2024 si è avuta un’ulteriore estensione della tutela reintegra ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ampliando la protezione dei lavoratori, dichiarando incostituzionale la norma del Jobs Act, che limitava la reintegra solo ai casi di licenziamenti disciplinari e stabilisce che “la tutela reintegratoria attenuata” deve applicarsi anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui venga accertata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale alla base del licenziamento.

Tali sentenze hanno ridefinito il sistema di tutele contro i licenziamenti ingiustificati, superando le rigidità introdotte dal Jobs Act.

Il referendum “abrogativo” del D.Lgs. 23/2015 dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale, se approvato da parte degli elettori, ripristinerebbe per tutti i lavoratori operanti in unità produttive con più di 15 dipendenti, la normativa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo riformato dalla legge n. 92/2012, ossia la regola della reintegrazione nel posto di lavoro nei casi più gravi di licenziamento illegittimo (perché del tutto privi di giusta causa o di giustificato motivo).

Il referendum si sovrappone alle sentenze della Corte costituzionale, promuovendo l’integrale abrogazione del D.Lgs. 23/2015, per ripristinare la disciplina dell’articolo 18.

I promotori del referendum, intendono: rafforzare la posizione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, ripristinare la reintegra come sanzione ed effetto dissuasivo e deterrente.

La Corte costituzionale, nel comunicato del 7 febbraio 2025, ha precisato che con “l’approvazione del quesito abrogativo, il risultato di un ampliamento delle garanzie per il lavoratore non si verificherebbero nelle ipotesi di invalidità” del licenziamento, in particolare; “nel caso del licenziamento intimato al lavoratore assente per malattia o infortunio, o “per disabilità fisica o psichica, “si avrebbe un arretramento di tutela”.

Il quesito referendario chiama il corpo elettorale “a una valutazione, complessiva e generale, che prescinde dalle specifiche e differenti disposizioni normative, senza perdere la propria matrice unitaria”.

Non per ribadire la mia posizione, allora esposta alla Leopolda, dove fui invitato dall’allora On, Venittelli, che il Jobs Act sarebbe stato una grande iattura per la sicurezza dei diritti dei lavoratori.

In caso di abrogazione del D.Lgs. 23/2015, si avrebbe un’armonizzazione del sistema normativo in vigore in materia di licenziamenti che attualmente si divide in due differenti normative, da applicarsi a seconda che il lavoratore sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015, le recenti sentenze della Corte costituzionale, hanno ripristinato lo status quo ante, l’intervento appare “tardivo e privo di quella efficacia” che i lavoratori avrebbero voluto avere tempestivamente e non con un ritardo di dieci anni.

Alfredo Magnifico

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