Turismo/ Campitello Matese, ovvero la montagna…che non c’è

di Stefano Manocchio

La recente esperienza del Molise alla Bit di Milano, tra installazioni ‘avveniristiche’, polemiche sulle spese e sulla corposa delegazione, buon gradimento generale di pubblico e critica, ha messo in luce, però, un aspetto che sembra oramai consolidato da anni: il turismo in Molise è essenzialmente estivo ed in particolare ‘marino’. Il territorio montano pare che anche questa volta abbia avuto ritagliato un ruolo da comprimario di ‘seconda fila’. Ora se partiamo dai numeri effettivamente è così, perché se consideriamo la presenze turistiche, che siano quelle dovute agli spostamenti dei molisani stessi o all’arrivo dei turisti da altre zone d’Italia e (pochi) dall’estero, non ci sono dubbi che la voce grossa possa farla solo la costa, in primis Termoli e poi Campomarino, Montenero di Bisaccia e Petacciato.

La considerazione che sorge spontanea è che altri numeri, che pure nei decenni passati qualcosa muovevano, quelli della montagna, sono praticamente scomparsi. Perché? Non entrerò nel merito delle problematiche attuali, quelle per intenderci, che hanno impedito l’avvio della stagione turistica in linea con le stazioni concorrenti; l’analisi sarà sulla ‘questione montagna’, che ovviamente vede Campitello Matese al centro. Nei miei tempi giovanili la voglia di sci dei molisani mi ‘sottraeva’ la frequentazione di buona parte degli amici nel fine settimana; la ‘due giorni’ in montagna era sacra per loro, mentre io, non essendo amante dello sci praticato ( che tuttavia vedevo volentieri in televisione, soprattutto ai tempi di Alberto Tomba) rimanevo in città. La stazione sciistica era ben frequentata anche se il turismo si limitava appunto a quei due giorni, oltre alla settimana bianca generalmente tra Natale e l’Epifania. Erano gli anni di Riccardo Plattner, che è stato di fatto l’inventore di Campitello, quello che l’ha conosciuta quando era una landa montana fuori dal mondo e l’ha portata almeno ad essere una stazione sciistica frequentata da molisani e in parte, pugliesi, campani e alcuni laziali, prima che tornasse nell’oblio.

Vedere quello che succede adesso mette in uno stato di sconforto perché su Campitello si sono riversati milioni di euro, ma a distanza di qualche decennio il discorso non è decollato: i cannoni sparaneve sono arrivati con anni di ritardo rispetto ai ‘concorrenti’, ci sono sati problemi diffusi con la manutenzione agli impianti, è cambiata più volte la società di gestione delle funivie e via discorrendo. Tutti ostacoli prevedibili ma, non si sa perché, insormontabili. Nel frattempo Roccaraso volava e Campitello arrancava. E’ mancata, sempre, la programmazione politica. Per molti anni il turismo è stato considerato la cenerentola degli assessorati regionali, per importanza e dotazione di risorse e la programmazione è stata incentrata sulla sagra della porchetta o delle ‘sagne e fasciuol’ (che pure ci vogliono perché creano identità territoriale); per il resto la costa ha sempre viaggiato da sola e si sono spesi soldi per brochure e manifesti nelle fiere nazionali, senza alcun riscontro degno di nota.

Negli ultimi anni si è capito che il Molise ha bisogno di ricordare la propria identità territoriale, per non sparire e che economia ed occupazione passano in parte attraverso il rilancio turistico: eppure Campitello è ancora ferma, come fermo è il Parco del Matese di cui si parla da trent’anni. Il disagio viene dalla considerazione che in una regione montana, di fatto la montagna non c’è.

Sul turismo piovono e pioveranno ancor più nei prossimi anni risorse ingenti e pare che s’inizi a creare un interesse politico diverso e migliore sulla materia. Per Campitello siamo ad un bivio: si tratta di scegliere se investire meglio e in maniera diversa o mestamente rinunciare all’idea di sviluppo della montagna e delle aree interne. Inutile precisare che la seconda tesi sarebbe da scongiurare in ogni modo.

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