corpedelascunzulatavecchia/Pizza, mortadella, trattore e motosega

Oggi ho mandato ai mie amici un filmato su come i nostri nonni contadini “ ‘ntuccavene u
“facione”, che tradotto in lingua di Dante, non quello del Ministro (nominato ma non eletto)
Gennaro Sangiuliano, ma quello vero, quello della Divina Commedia, suonerebbe: ribattuto il
falcione.

Cosa facevano in pratica i nostri nonni? Usavano due attrezzi “la ‘ncudene” e la “martellina” in
pratica i nostri nonni conficcavano l’incudine o per terra o su un ceppo e con la martellina
ribattevano la lama del falcione per assottigliarla e renderla più tagliente. Non è un caso che
dicevano “ ‘ntuccate u faucione” praticamente intaccato il falcione. In “ausilio” ad incudine e
martellina quando si era in pieno “work in progress” era la “cutella” una pietra che si usava per
rifare il filo al falcione, “cutella” che si portava in un corno di vacca che l’operatore del falcione
portava vicino alla cinta dei pantaloni, come mi ha ricordato il mio amico di contrada Antonio, i
nostri nonni lo facevano insieme .

Era l’operazione di preparazione degli attrezzi che preludeva il duro lavoro nei campi per tagliare l’erba. In pratica era un’operazione di uso quotidiano, oggi lo facciamo lo stesso solo che lo chiamiamo “filo del decespugliatore”, perché in effetti il decespugliatore non è altro che “nu facione” con il motore, quindi meno faticosa da usare. Ritorniamo a noi: l’uso del falcione, come tutte le altre attività campestri, richiede l’ausilio di parenti ed amici che ti davano una mano.


Importantissimi erano i vicini di casa con i quali si era soliti scambiare “favori” per il lavoro dei
campi ed anche per questo era consigliabile avere sempre buoni rapporti con i vicini perché, in
un’epoca scarna di mezzi di trasporto e di comunicazione vigeva il detto: “Quanne u parente l’ha sapute u vicine già è currute”, non credo ci sia bisogno di traduzione.


Era il modo di lavorare, ma si era talmente felice di avere a che fare con qualche amico che si
prendeva il lavoro come momento di vicinanza e di stare insieme. Ed a proposito di stare insieme devo spiegare la presenza della prima foto che, sicuramente, tutti voi conoscete. Nei giorni scorsi è successo, o è capitato non si sa, che dovendo abbattere degli alberi e trasportarli a casa si è reso disponibile il mio amico d’infanzia Nicola1 con il suo trattore. Ci siamo
prodigati ad abbattere gli alberi, io nel frattempo avevo postato su un gruppo di noi contradaioli d’annata la foto della pizza con la mortadella invitando chi volesse a venire a casa mia a fare
“colezione”, ci siamo dovuti sacrificare solo noi.

L’unico convenuto è stato Nicola2 perché Nicola1 lo ha intrappolato con una telefonata chiedendogli aiuto per come stava cadendo l’albero.
Nicola2 che stessimo in pericolo o in imbarazzo non ci ha creduto nemmeno un attimo, conoscendo le capacità e l’esperienza non dico mie, ma di Nicola1. In ogni caso, forse spinto dalla curiosità è venuto sul luogo dell’abbattimento e subito si è offerto per darci una mano. Ci siamo distribuiti i compiti e nei momenti di calma delle motoseghe sono volati ricordi e sfottò tra di noi pizzicandoci anche sui ricordi d’infanzia.

A me è dispiaciuto molto, però, che Nicola2 abbia detto che da bambino io mangiassi gli yogurt. Cosa non buona per rudi bambini contradaioli, ma cosa non vera.

Forse gli avrò detto, in un momento confidenziale, che ne avevo assaggiato uno…forse. Insomma abbiamo vissuto qualche ora di bucolica tranquillità assaporando, al momento della
“colezione” la pizza di pane con la mortadella accompagnato da mezzo bicchiere vino, non di più, che aveva portato dalle sue cantine Nicola1.

Così siamo finiti da ‘ncudene e martellina, alla cooperazione gratuita dei contadini molisani a
giorno d’oggi. Cooperazione senza scopo di lucro, ma solo per il gusto di vedere le cose fatte. Spero che però tutti e due i Nicola se dovessero avere bisogno di un aiuto mi chiamino. Resta inteso che la “colezione” sarà a mio carico.
Ora, però, torniamo alla vita di tutti i giorni e quindi, con affetto e stima, statevi arrivederci.
Franco di Biase

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