“Il Cappello di Ferro” tratto da “Un soldato contadino – lettere dal fronte 1915/1917” al Teatro Savoia

 Con lo spettacolo “Il cappello di ferro” in programma martedì 19 maggio si conclude la fortunata stagione organizzata e promossa dalla Fondazione Molise Cultura, grazie al contributo della Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Oltre trentamila le presenze registrate nell’ultimo anno da parte dello storico teatro del capoluogo, una stagione che ha visto sold out tutti gli spettacoli in programma e che chiude con una propria produzione portata in scena dalla Compagnia Stabile del Molise.  Lo spettacolo, che ha già esordito per il pubblico scolastico, in occasione del centenario dell’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, nasce da un’idea di Sandro Arco, tratto da “Un soldato contadino – lettere dal fronte 1915/1917” di Anna Falcone.
“La Grande Guerra sconvolse il mondo intero dal 1914 al 1918 – scrive il direttore della Fondazione Molise Cultura Sandro Arco – in ragione di questo importante anniversario, appare oggi di fondamentale importanza divulgare il più possibile la conoscenza di quegli eventi storici, anche e soprattutto attraverso gli occhi e le parole di quegli uomini che conobbero gli orrori di uno dei conflitti più sanguinosi della storia dell’umanità. L’idea di uno spettacolo teatrale, nasce proprio per tramandare alle nuove generazioni, sempre più lontane da quegli avvenimenti drammatici, la memoria di un periodo storico che ha modificato per sempre gli assetti del mondo contemporaneo.”
A metà strada fra Lussu e il “buon soldato Svejk”, lo spettacolo rappresenta un contributo alla ricostruzione della memoria di quello che è stato uno dei più sanguinosi episodi della storia dell’uomo. Oltre a raffigurare un valido ed originale strumento di analisi delle vicende storiche di quel periodo, stare accanto a Giuseppe nel suo anno e mezzo al fronte permetterà al pubblico di conoscere la Grande storia attraverso la storia piccola ed anonima di un giovane contadino che ha dovuto passare dai campi alla trincea, che ha messo a disposizione il suo personale “genio” al servizio di una causa lontana e spesso incomprensibile.
Giuseppe Serpone, nato a Toro (Campobasso) il 19 marzo 1894, viene arruolato nel 1915 all’età di 21 anni nel 212° Fanteria, Brigata Pescara, Genio zappatori; il giovane trascorre un iniziale periodo di addestramento militare a Chieti e nel Pescarese per poi giungere nella zona di guerra nell’aprile del 1916. Partecipa ad importanti eventi bellici, tra i quali la presa di Gorizia dell’agosto del 1916. Giuseppe muore a 23 anni nel 1917 nell’alta valle dell’Isonzo. È sepolto a Caporetto. Dal fronte scrive circa 150 tra lettere e cartoline descrivendo la vita di trincea, le dure condizioni di vita dei soldati, la sua angoscia per una pace che non arrivava e il dolore per il distacco dalla moglie – sposata pochi mesi prima della sua partenza – e dai suoi genitori. Tanti sono i particolari che il ragazzo racconta sulla sua dura vita di soldato e anche su episodi molto importanti della “grande guerra” quali la conquista di Gorizia.
Serpone scrive la sua ultima cartolina alla moglie il giorno 6 giugno 1917 infatti, il giorno dopo, alle ore 10 di mattina, presso quota 900 a Plezzo, nell’alta valle dell’Isonzo, in un luogo non lontano da Caporetto, Giuseppe Serpone resterà colpito a morte con una pallottola in fronte. Alla sua morte, la giovane moglie Maria Antonia, sposa, secondo le usanze dell’epoca, Francesco, fratello di Giuseppe, sopravvissuto alla guerra.
La pronipote Anna Falcone racconta:
Io sono Anna e questa è la storia che mi lega a Giuseppe. Tra noi ci sono cento anni di distanza eppure è quasi come se ci fossimo davvero conosciuti. Giuseppe Serpone è uno di famiglia, nel vero senso della parola. E’ lo zio di mio padre. Primo di sette fratelli, nasce a a Toro nel 1894. I suoi genitori sono contadini. Vita dura a quei tempi, ma mamma Caterina e papà Gaetano nonostante le difficoltà non fanno mai mancare ai loro figli tutto l’amore possibile. Giuseppe si sposa nel 1915 con Maria Antonia, una giovane del suo paese riservata, dedita alla famiglia e contadina come lui. Ma dopo pochi mesi dalla loro unione, il giovane deve partire, deve lasciare la sua amatissima moglie ed il suo paese. E’ scoppiata la prima guerra mondiale e l’Italia entra nel conflitto proprio nel 1915. Giuseppe raggiunge la zona di guerra nell’aprile del 1916. Terribile deve essere stato lo scenario che si prospetta agli occhi del ragazzo. Morti, bombe, sangue, fame e freddo. Perché quella guerra, per cosa? E come non impazzire in un inferno del genere? Giuseppe se lo sarà chiesto tante volte senza mai trovare risposta. Muore dopo un anno e mezzo i primi giorni di giugno del 1917 a Bovec con un colpo di pallottola alla fronte sparato da un cecchino dalla trincea nemica. Viene seppellito nella zona di guerra e non farà mai più ritorno a Toro. Di lui si perde ogni traccia fino a quando un giorno, di qualche anno fa, per puro caso mi imbatto in una vecchia busta di plastica. Scopro con stupore che quell’anonimo involucro contiene in realtà del materiale davvero prezioso. Si tratta di centinaia di lettere e cartoline che risalgono agli anni tra il 1915 ed il 1917. E’ così che conosco Giuseppe Serpone e la sua storia. Inizio a leggere le sue lettere dal fronte e scopro la sua vita, i suoi dolcissimi sentimenti di amore per la moglie e per i genitori. La nostalgia per il suo amato paese lontano, la grande sofferenza di un soldato in guerra che ogni giorno sfiora la morte, che ogni giorno vede morire tanti suoi compagni. Giuseppe non rivedrà più i suoi cari perché viene ucciso dalla guerra e neanche il suo corpo tornerà più nel suo amato paese natale. Dopo la sua morte, nessuno dei suoi familiari sa dove lui possa trovarsi. E quasi come se essi non si aspettassero oramai più nulla. La guerra l’ha strappato alla vita ed ha crudelmente rapito anche il suo corpo. La guerra non restituisce, prende solo. Dopo averlo conosciuto attraverso le sue lettere, ho deciso così di ritrovarlo. E’ stato difficoltoso, ma alla fine ho individuato il luogo della sua sepoltura. Oggi Giuseppe Serpone si trova a Caporetto in Slovenia, ed io sono stata sulla sua tomba a rendergli omaggio per riunirlo anche solo per un momento alla sua famiglia.

Note di regia di Emanuele Gamba
Attraverso la narrazione di 25 di queste 150 lettere scritte dal fronte sarà ripercorsa la vicenda di Giuseppe Serpone, uno dei tanti giovani molisani che combatterono e morirono durante la prima guerra mondiale. Nella storia personale di questo contadino molisano poco più che ventenne, la dignità e il senso di un dovere non effimero o semplicemente dimostrativo, cozzano fortemente con il pressapochismo degli alti ufficiali di quell’esercito italiano, spesso pronti a sacrificare, come sempre, i più poveri per ottenere risibili vantaggi in termini territoriali. Le parole mai fuori luogo che il soldato Serpone metteva faticosamente insieme e che spediva con una regolarità impressionante, tenuto conto del contesto da trincea nel quale visse per anni, furono il ponte immaginario e per questo intoccabile, che lui, ogni sera, attraversava per giungere nuovamente a casa, da quella moglie che dovette lasciare poco dopo aver sposato, da quel padre a cui confidava le paure più grandi e le tragedie che viveva e che, alla moglie e agli altri, voleva risparmiare anche solo di citare, come se il solo non nominarle, anche da così lontano, potesse evitare di farle giungere, con tutto il loro fragore inumano e irragionevole, nella terra che aveva dovuto abbandonare e che non poté più rivedere. Infatti, Giuseppe Serpone, morì nell’alta Valle dell’Isonzo, in una mattina di giugno, colpito alla testa da un cecchino. La sera prima, però, era riuscito, comunque, a dimostrare a sua moglie che era ancora il suo amato marito, scrivendole un’ultima, immancabile, lettera.

“IL CAPPELLO DI FERRO”
MARTEDI’ 19 MAGGIO 2015 ore 21,00
AL TEATRO SAVOIA, LO SPETTACOLO TRATTO DA  “UN SOLDATO CONTADINO – LETTERA DAL FRONTE 1915/1917”
con Paola Cerimele, Raffaello Lombardi, Giorgio Careccia, Giulio Maroncelli
Regia di Emanuele Gamba
Scene di Nicola Macolino Compagnia Stabile del Molise

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