Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni ’90: Lillo Sabelli

di Stefano Manocchio

Per noi è stato ‘Lillo’ dal primo giorno, il gigante buono che prendeva rimbalzi dove non saremmo arrivati neanche con l’aiuto di una scala. Lillo Sabelli ha vissuto tutte le fasi del grande basket campobassano dagli anni ’70 e anche prima, nella fase pionieristica. Parlare con lui ci ha fatto tornare indietro nel tempo ed aperto vecchi ricordi, ad iniziare dal campetto all’aperto dello ‘Sturzo’ dove il riscaldamento voleva dire spalare la neve in inverno o spazzolare il ‘lago’ creato dalle piogge autunnali, o ancora sopportare il solleone estivo.

Partiamo dall’inizio, con il passaggio dalla Promozione alla serie D

“Io ho vissuto anche una fase ancora precedente, con una bella squadra in cui giocavo con Antonio Varrone, Carlo Antonelli, Mario Pedata, Giancarlo Pizzi, Lello Ciaccia, Pistilli ed altri; poi arrivò la serie D e le finali per la C. Nel campionato 1971/72 in una partita di Coppa Italia venni visto e contattato dai dirigenti del Roseto e andai a giocare in Abruzzo, appunto a Roseto e poi a Chieti, in serie B”.

Quindi hai conosciuto Stefano Pizzirani, che a Campobasso ha dato tanto?

Sabelli ha vissuto i tempi del campo “Sturzo” all’aperto

“Ho giocato a Chieti con Pizzirani ed altri; l’allenatore Faina mi voleva portare a Milano, ma mi misi a studiare e andai a giocare a Perugia, poi a Napoli. Nel 1980 dopo la laurea, tornai a Campobasso, dove nel frattempo c’era stato l’exploit del basket ed ho giocato fino alla partita con il Latina, quando per una serie di eventi in panchina coach era Leo Di Marzio”.

Vogliamo citare un episodio in particolare?

“Proprio la partita contro il Latina; loro dovevano essere promossi e naturalmente una sconfitta con noi, che andammo nella città laziale quasi all’avventura e come disperati, non era affatto contemplata. Alla fine vincemmo la partita con una prestazione super e ci fu invasione di campo dei tifosi avversari, arrabbiatissimi; inseguirono anche gli arbitri”.

Quale è stato il segreto del successo?

“Oltre ai giocatori, tutti forti, una società seria e ben organizzata ed uno sponsor forte che ha investito risorse, La Molisana. E poi gli allenatori che hanno lavorato con entusiasmo ad iniziare da Ugo Storto”.

Cosa mancò invece al basket campobassano per rimanere grande nel campionato maschile?

“Non abbiamo avuto un vivaio per supportare il basket ad alto livello per tanto tempo e io lamentavo sempre questa carenza; spingevo per crearlo e dicevo che nel caso si doveva andare in giro in altre regioni a cercare giovani forti da tesserare. Nel frattempo era caduta la Jugoslavia e loro avevano un vivaio quasi sconfinato e si sarebbe potuto ‘pescare’ qualche talento. Vedi cosa ha fatto Livorno, a quali livelli è arrivata puntando sui giovani; col vivaio è diventata prima attrice ed ha portato i suoi giovani in Nazionale. Invece le squadre erano composte da professionisti, tutti forti, che venivano da fuori, tranne tre o quattro elementi locali, che non erano tutti da serie B. I costi erano altissimi e non si sarebbe potuto reggere a lungo a quelle condizioni. La decadenza è stata economica”.

E il rapporto con l’ambiente campobassano?

“E’ stato bellissimo essere riconosciuto e fermato per strada, come succedeva anche a Chieti; ma la società abruzzese era attrezzata e forte ancora di più e dava ai giocatori migliori la possibilità di lavorare”.

Il giovane Sabelli si ‘aggancia’ al ferro

E’ possibile far tornare il grande basket maschile a Campobasso?

“Ci sono le possibilità, anzi le piccole città sono l’ideale per questo discorso, soprattutto nella pallacanestro e nella pallavolo. Ce ne sono tante, ma ci vogliono finanziatori, buona organizzazione societaria e vivaio ampio per supportare l’azione nel prosieguo e non fermarsi all’exploit iniziale. Bisogna poi avere scout in giro per l’Italia a caccia di talenti. Adesso il basket femminile assorbe tutto l’interesse”.

Con quali giocatori sei rimasto in contatto?

“Con Alfio (Romito, ndr) perché è rimasto a Campobasso. In verità ho mantenuto maggiori rapporti con i giocatori del periodo di Chieti; ad esempio D’Ottavio ancora l’incontro per motivi di lavoro e tre anni fa abbiamo organizzato una ”rimpatriata’ nella città abruzzese. Ma ricordo anche con piacere la partita del 2012 a Campobasso tra le vecchie glorie rossoblù”.

Quali sono adesso i tuoi rapporti con il mondo del basket?

“Lo scorso anno sono stato il medico della Magnolia in serie A femminile; lo sport ti prende e diventa una famiglia che continua nel tempo”.

E con questa bella chiosa ci siamo salutati; tanti ricordi anche stavolta, per fortuna.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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