Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni ’90: Gianpaolo Graberi

di Stefano Manocchio

Ci sono quei giocatori che non hanno bisogno di una lunga permanenza in una città per lasciare il segno; uno di questi è stato a Campobasso, Gianpaolo Graberi. Arrivò a Campobasso con il ‘marchio’ di top scorer, che confermò con varie prestazioni in doppia cifra arrivando anche a segnare 30 punti in partite di un campionato difficile. La sua carriera era già basata su grandi squadre di provenienza (Udine e Cagliari). Nel capoluogo molisano arrivò insieme ad altri nomi altisonanti (Massimo Propseri, Claudio Starc e Mariano Cantoni), che si andarono ad aggiungere a quelli dei riconfermati Pastorello, Maj, Gatti e Gatto, nell’ultimo anno di Martinoia in panchina nel capoluogo di regione. Era una squadra che, almeno in linea teorica, era sembrata ai più formata per una lotta al vertice in un campionato super competitivo come quello di B d’Eccellenza. La sua casa era Udine e passò per Cagliari per tornare nel capoluogo friulano dopo l’anno trascorso a Campobasso.

Graberi in azione nella partita delle ex-glorie rossoblù

Come mai rimase un solo anno a Campobasso?

“Il mio cartellino era di Udine ed a Campobasso ero in comproprietà; mancarono le risorse per riscattarlo. Sarei rimasto di più a Campobasso ma non fu possibile ed il richiamo di Udine era forte e la squadra in A2; venni a Campobasso ‘per empatia’, e la mia signora, che avevo conosciuto a Cagliari, ottenne il trasferimento con la squadra femminile di pallavolo in A2. Non fu casuale, naturalmente, giocavamo nella stessa città, che per due atleti è un bel traguardo ed una bella soddisfazione, visti anche i campionati di appartenenza. La squadra, poi, era secondo me attrezzata per tentare di fare un campionato di vertice e casomai tentare anche il grande salto, anche se in quel campionato c’erano squadre molto forti e anche blasonate; avremmo potuto vincere altre partite soprattutto verso la fine del campionato ed arrivare almeno a poter giocare i playoff a quattro squadre. E’ andata così, abbiamo raccolto meno di quello che avremmo invece meritato”.

Quali erano i segreti che avevano permesso alla squadra di Campobasso di ottenere risultati così importanti?

“Ci fu l’insieme di vari fattori in un momento entusiasmante. Un clima effervescente e contagioso, con il palazzetto sempre pieno ed il pubblico caloroso; la città si era stretta intorno alla squadra ed era bello ed importante giocare bene. L’allenatore ha avuto i suoi meriti; io conoscevo già Martinoia perché, nel periodo del militare, ero aggregato alla squadra delle Forze Armate a Vigna di Valle e lui era l’allenatore. A Campobasso riuscì a trasmettere qualcosa d’importante e a farci fare bella figura in un campionato di grande livello con società importanti. Campobasso era un fenomeno, eravamo anche sulla stampa nazionale e Maurizio ha contato molto per noi. Avevamo tutti voglia di dare il meglio. La società era importante non ci faceva mancare nulla; ricordo bene i fratelli Di Vico e il presidente Di Placido ed ho appreso, con tristezza, proprio oggi da lei la notizia della sua scomparsa. Erano tutti appassionati e professionali e non avrebbero sfigurato anche su livelli più alti. Solo per fare un esempio sulla serie B di allora: c’erano squadre del calibro di Siena e Trapani che poi sarebbero approdate anche in A1 e questo fa capire il livello di quel campionato. Squadre (oltre a Siena e Trapani, anche Verona) che non soffrivano anche in serie superiori. Ecco, Campobasso avrebbe potuto coronare il sogno e purtroppo non ci è riuscito”.

Graberi con la maglia della nazionale ai Mondiali over 40 a Portorico 2007

Vogliamo ricordare un episodio?

“Ce ne sono tanti, le dico questo che indirettamente riguarda Campobasso e quel periodo. Nel campionato di A2 (con Udine, ndr) giocammo a Trapani e vincemmo; venimmo accerchiati dai tifosi siciliani che mi indicarono come “campobassano”. Tra Campobasso e Trapani allora c’era grande competizione ed anche se giocavo in un campionato diverso e in una squadra diversa, per i tifosi avversari ero sempre quello “del Campobasso”.

Della città molisana di quei tempi che possiamo dire?

“Venivo da Cagliari che era una città attiva e movimentata, mentre Campobasso era un po’ come Udine, molto tranquilla, c’erano pochi divertimenti, ma si stava bene. Ero in appartamento con Claudio Starc che di fatto era alla sua prima uscita fuori di casa e all’inizio naturalmente dovette confrontarsi anche con la sua timidezza”.

Dopo come è proseguita la sua carriera?

“Dopo sono andato ad Udine e sono tornato a Cagliari, ho giocato cinque anni sempre in B1, poi è iniziato il precorso che mi ha aperto la strada da dirigente per tanti anni nel basket maschile, ma anche di vice presidente di una squadra femminile in A2. Attualmente sono a.d. di una società in A2 maschile, costruita dopo il fallimento della gloriosa Snaidero; in Friuli la pallacanestro è importante, in passato abbiamo dato sei giocatori alla squadra nazionale che ha vinto l’argento olimpico. Noi stiamo costruendo un progetto che potrebbe anche portarci in A1. Per molti anni il basket è stato lo sport di Udine, vanta una lunga tradizione, poi il calcio ha preso il sopravvento anche se abbiamo squadre a livello di serie A”. Graberi, tanto per aggiungere altro prestigio ad una carriera già ricca, ha vestito anche la maglia della nazionale over 40 partecipando ai mondiali di Portorico 2007.

Lei crede che a Campobasso si possano ricreare il clima e i successi di quel periodo d’oro?

“Adesso avete un interesse forte sul basket femminile con la squadra di A1; a tal proposito saluto Mimmo (Sabatelli) con affetto e sono contento che sia lui l’allenatore della Magnolia e ricordo ancora quando ci siamo rivisti in occasione della partita tra le ex-glorie rossoblù (quella del 2012, ndr). A Udine maschile e femminile vanno a braccetto e su campionati di alto livello; certo il budget del campionato maschile è differente, i costi sono molto più alti, ma si potrebbe immaginare anche a Campobasso un progetto del genere. Per il resto quello era un periodo diverso, c’era passione oggi c’è più fisicità, i giocatori sono seguiti molto e bene”.

Un ultimo ricordo?

“Ricordo Mario il massaggiatore (de Santis, ndr), che purtroppo non c’è più. In un viaggio in pullman per una trasferta era mio compagno di tressette; sbagliò clamorosamente una giocata, ma non volle ammetterlo e ne uscì fuori una simpatica discussione. Il nostro era un gruppo unito e c’era sport ma anche aspetto conviviale. Io rimpiango tante cose che allora erano migliori, come le riunioni tra amici e anche qualche arrabbiatura. E’ stato un periodo importante e se ne parliamo ancora dopo trent’anni un motivo ci sarà. Voglio salutare tutti quelli che si ricordano ancora di me”.

Tanta sincerità e tanta emozione, per l’intervistato ma anche per il cronista, anche questa volta.

Ringrazio il Comitato Regionale del Molise dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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