Time Out/ Il basket campobassano dagli anni 70′ agli anni 90′: Sergio Di Vico

di Stefano Manocchio

Il cognome, come già detto, è stato ricorrente in tutte le interviste di questa rubrica perché i fratelli Di Vico sono stati i precursori dell’idea di organizzazione aziendale applicata allo sport in Molise: se Luciano, già intervistato in precedenza, è stato un po’ il general manager, Sergio è stato di fatto l’organizzatore e coordinatore, oltre che il direttore sportivo in pectore. Insomma il grande basket a Campobasso deve parte delle sue fortune al suo lavoro incessante e razionale. Ne abbiamo parlato con lui nel corso di questa intervista, toccando anche tanti altri temi.

Come è iniziata l’avventura di Sergio Di Vico nel basket campobassano?

“In una maniera tanto singolare quanto casuale, come spesso avviene. Tutto iniziò da un canestro di Giancarlo Pizzi a Casacalenda contro il Termoli, che ci permise di uscire dal livello dilettantistico puro. Poi arrivò un insperato contributo di 12 milioni di lire dal Comune di Campobasso per le manifestazioni del Corpus Domini ei iniziammo a pensare in grande. Eravamo un gruppo di appassionati che volevano dare un senso a questa passione e tutto avveniva a livello goliardico. Ma eravamo strutturati anche razionalmente e con ruoli ben precisi: Antonio Varrone l’amministratore, io il direttore sportivo, Luciano (Di Vico) il general manager, Carlo Antonelli per tutto quello che riguardava il campo, Mario Pedata agli abbonamenti e Sandro Sardelli per l’attività di segreteria. Organizzammo la serie D con un senso ed una struttura: fu la chiave che portò ad una storia di successi all’inizio neanche immaginata. Coinvolgemmo nel discorso Franco Di Placido, che poi divenne anche il primo tifoso”.

Poi l’arrivo a Campobasso di Stefano Pizzirani portò risultati e pubblico

“Capitai ad Ortona per un torneo estivo e per parlare con Ugo Storto e vidi Pizzirani che fece un gran numero di punti. Iniziò una trattativa con De Cesare, che era un nome importante, presidente della Rodrigo Chieti e della Lega di A2; lo contattai ripetutamente e prese a cuore la situazione e avemmo per 700.000 lire Pizzirani, Milillo e Salvatore e vincemmo il campionato. Pizzirani era di un livello superiore, uno che aveva calcato i campi della serie A e iniziò allora una scalata inarrestabile; poi vincemmo tre campionati di seguito. Il budget arrivò a costi altissimi, da 40 milioni a 500 milioni di lire; eppure riuscimmo a portare saldi attivi con una campagna acquisti intelligente e sempre in pareggio. Erano tempi diversi, si risolvevano la situazioni e si stipulavano accordi con una telefonata, ma poi dovevi mantenere gli impegni altrimenti venivi screditato perdendo la possibilità di buoni affari negli anni successivi. Per noi tutto doveva essere perfetto e niente vaniva lasciato al caso: avevamo il medico sociale, il preparatore atletico, il fisioterapista e l’ortopedico. Quello che veniva pattuito veniva concesso, compresi i premi che altrove erano una chimera. Non si arriva fino alla B d’eccellenza a caso, ci vuole serietà ed organizzazione manageriale. Poi ci sono anche gli eventi casuali e fortunati: prendemmo Claudio Bulgarelli da Torino perché il manager Di Stefano era di origini molisane. Il motivo principale del successo alla fine si è rivelato lo spirito di gruppo, abbiamo tolto tempo al lavoro e alle famiglie e operato con passione e grande serietà; questo ci è stato riconosciuto da tutti e a tutti i livelli. Abbiamo portato a Campobasso Trotti, Mossali, Servadio, Gatti e Gatto, Grasselli, Campiglio, Graberi e potrei continuare perché la lista dei giocatori molto forti è lunga”.

Sergio Di Vico

Campobasso era nuova al basket di quel livello, non avevate difficoltà anche solo a contattare questi grandi giocatori?

“I giocatori a volte non sapevano neanche dove fosse Campobasso; un giorno in un ufficio sportivo c’era una piantina con le bandierine a rappresentare la presenza di squadre di seria A o B: il Molise era vuoto! Questo fatto mi fece pensare a come eravamo ‘sconosciuti’, poi però riempimmo quello spazio. Sono venuti grandi personaggi e molti giocatori si sono legati alla città; si sentivano importanti per Campobasso e mettevano passione in campo, anche i più navigati ”.

Poi il grande lavoro di coinvolgimento del pubblico

“Si riuscì a creare una unione tra le tifoserie di basket, calcio, ma anche pallavolo e gruppi di tifosi partecipavano a tutti e tre gli eventi. Riuscivamo a garantire 250 abbonamenti e tutti volevano confermare il posto per l’anno seguente. Ma non basta. Abbiamo creato un movimento di minibasket di 300 ragazzi, il vivaio è importante, porta interesse e poi alle partire i ragazzi vengono accompagnati da almeno un genitore e il pubblico si forma anche così”.

Può tornare il grande basket a Campobasso?

“La pallacanestro maschile in definitiva non è lievitata come costi, anzi sotto alcuni aspetti si è anche ridimensionata perché molte società sono in difficoltà; l’entusiasmo si crea con i ragazzini, ma soprattutto con i risultati e se non si vincono oltre alle partite anche i campionati tutto diventa difficile. Noi facemmo vittorie in serie e il pubblico è cresciuto e maturato.”

Una curiosità?

“Tonino Fuss, alto 2 metri e 20 centimetri, aveva il 62 di piede e scarpe fatte appositamente dalla Diadora; quando le poggiava su un tavolo sembravano due barche, anzi ricordavano, per dimensione, quelle dei clown. Non potevi fare a meno di guardarle e rimanere impressionato”.

Ricordi e rimpianti?

Ricordo tutto con nostalgia, è stato bello viverlo, si sono fortificati i rapporti con gli amici e si sono unite le famiglie intorno alla passione sportiva. La B d’eccellenza allora era la massima espressione del basket fatto di italiani, senza ‘incidenza’ degli stranieri. Si sono creati rapporti importanti in ogni regione e da Gorizia a Marsala ancora ho almeno un contatto; quando il presidente della squadra di Udine, originario di Campobasso, ti porta i saluti rimani decisamente soddisfatto del lavoro svolto. Gli ex-giocatori che hanno la città nel cuore danno altra soddisfazione. E’ un felicissimo ricordo”.

Anche per me, parlando, è stato bello rievocare quei tempi.

Ringrazio il Comitato provinciale di Campobasso dell’Associazione Nazionale Stelle e Palme al Merito Sportivo che, nella persona di Michele Falcione, mi sta dando un grande aiuto nel contattare i personaggi che poi andrò ad intervistare.

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