Politiche per il lavoro, la posizione di Giuditta Lembo

Riceviamo e pubblichiamo

La Consigliera di Parità della Provincia di Campobasso e Autorità per i Diritti e Pari Opportunità della Regione Molise Giuditta Lembo, ospite alla presentazione del progetto ELENA “Experimenting flexible Labour tools for Enterprises by eNgaging men And women”- “Lavoro agile e condivisione delle responsabilità genitoriali: Nuove prospettive in Italia e in Europa”, coordinato dall’Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità del Dipartimento per le pari opportunità. Alla fine dell’incontro la Lembo ha potuto informare personalmente la Ministra Marianna Madia che lo scorso giugno anche la Regione Molise ha visto organizzato dalla Lembo in collaborazione con i vertici della Regione un Workshop dal titolo “ Politiche per il lavoro: modelli e strategie innovative per lo sviluppo territoriale molisano”, finalizzato oltre che a proporre un modello di integrazione tra politiche per il lavoro e politiche per lo sviluppo, anche a favorire interventi a favore della conciliazione vita – lavoro, quale questione centrale e strategica che colloca a pieno titolo il mainstreaming di genere nelle politiche di sviluppo economico, oltre che di accesso e permanenza delle donne nel mondo del lavoro attraverso l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, poiché analisi effettuate, confermano infatti che la difficoltà a conciliare i tempi di lavoro con quelli di vita rappresenta la causa principale di discriminazione delle donne nel lavoro e, più in generale, della mancata partecipazione femminile al lavoro. È necessario- afferma Giuditta Lembo- rimuovere tali discriminazioni per liberare il potenziale femminile inespresso intervenendo in primis sull’organizzazione del lavoro anche in quelle realtà che apparentemente garantiscono una parità formale di trattamento, come la pubblica amministrazione. Infatti, la necessità di inquadrare la questione dell’uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro nell’ambito delle politiche di sviluppo, di crescita e di occupazione, nasce dalla stretta connessione tra partecipazione femminile al lavoro e crescita economica confermata negli ultimi anni da numerose analisi empiriche di carattere micro e macroeconomico. Secondo alcune ricerche, la parità di genere fra gli occupati potrebbe incrementare il PIL in Europa del 13%. In Italia ha suscitato particolare clamore uno studio di Banca d’Italia secondo il quale, se la partecipazione delle donne al lavoro in Italia raggiungesse i livelli definiti a suo tempo negli obiettivi di Lisbona, il PIL salirebbe di 7 punti percentuali. Riconoscere la centralità dell’occupazione femminile nelle politiche di crescita – prosegue la Lembo- significa anche riconoscere che la conciliazione vita-lavoro resta ancora il fattore determinante della mancata occupazione femminile e le difficoltà a conciliare i tempi di lavoro con quelli dedicati alla famiglia costituiscono il “prezzo” pagato dalle donne, soprattutto in termini di mancata partecipazione al lavoro ma anche un “costo” a carico del mondo lavorativo in termini di perdita di risorse e professionalità.
In Italia la divisione dei ruoli di genere all’interno della coppia è infatti ancora prevalentemente tradizionale: l’uomo continua in moltissimi casi ad avere il ruolo di breadwinner e il lavoro domestico e di cura pesa soprattutto sulle donne, indipendentemente dalla loro condizione occupazionale. La carenza di servizi di supporto nelle attività di cura unita alla distribuzione ineguale dei carichi di lavoro domestici all’interno della famiglia scoraggia le disoccupate alla ricerca attiva di un’occupazione, rende difficile la progressione di carriera fino ai casi “estremi” di fuoriuscita dal mercato del lavoro.
La “rigidità” del lavoro, in termini di orari, spazi e modalità organizzative, rappresenta uno degli ostacoli principali nell’ambito della conciliazione tra vita familiare e lavorativa e riguarda soprattutto le donne che, a causa della doppia presenza, spesso si trovano in situazioni di svantaggio e di discriminazione rispetto agli uomini.
Un’organizzazione del lavoro troppo rigida comporta infatti una penalizzazione delle carriere delle donne che si vedono costrette a uscire dal mercato o a scegliere lavori meno qualificati o precari, pur di avere grdi di flessibilità che permettano loro la cura dei figli o degli anziani in famiglia. Ricordiamo che in Italia una madre su quattro, a distanza di due anni dalla nascita del figlio, non ha più un lavoro (dato stabile nel tempo), in Molise dopo il primo anno dalla nascita del figlio. Allora, l’assenza di forti vincoli contrattuali e l’introduzione di tempi e modalità di lavoro più “agili” possono costituire un incentivo e una facilitazione, consentendo come risultati una maggiore produttività e soddisfazione; maggiore dedizione al lavoro e capacità di conciliare vita lavorativa e professionale. Il cd. lavoro “agile”, introdotto dalla recente normativa, grazie alla flessibilità degli orari e dei luoghi di svolgimento delle prestazioni lavorative, nonché all’utilizzo della tecnologia mobile da remoto, può produrre benefici non soltanto ai dipendenti, ma anche all’azienda e alla P.A. La conciliazione tra lavoro e vita privata è un fattore essenziale della qualità della vita nelle società moderne e ne rappresenta un obiettivo comune.
Una più equilibrata suddivisione tra tempi di vita e di lavoro per le donne e per gli uomini non può prescindere dal coinvolgimento attivo del mondo delle imprese, attraverso la realizzazione, anche da parte delle aziende, di azioni mirate ed incisive. In particolare, formule di lavoro agile e uso dei congedi parentali anche da parte degli uomini sono strumenti che, utilizzati più diffusamente, possono contribuire sostanzialmente ad un miglior equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, a vantaggio sia delle donne che degli uomini e ne beneficia tutta la famiglia. Nonostante una generale tendenza verso una maggiore adozione di questi strumenti, i dati disponibili mostrano una certa eterogeneità tra paesi europei, evidenziando come in Italia, ad esempio, il telelavoro o il lavoro flessibile non si configurino affatto come opzione organizzativa, coinvolgendo meno del 6% della popolazione lavoratrice (dati del Politecnico di Milano, Osservatorio Smartworking). In Italia il divario occupazionale tra uomini e donne, le rigidità nell’organizzazione del lavoro e la carenza di servizi sono aspetti strettamente collegati e rappresentano fattori determinanti del “gender gap” nel mondo del lavoro. Un ambiente di lavoro più flessibile sia sul piano spaziale che temporale può contribuire a ridurre le disparità esistenti tra lavoratori e lavoratrici con riferimento all’ingresso nel mondo del lavoro, alle opportunità di carriera e alla retribuzione. L’adozione di modalità lavoro flessibili dal punto di vista spazio-temporale è certamente un fattore fondamentale per rendere possibile la conciliazione tra vita familiare e professionale delle donne e degli uomini, costituendo il primo passo anche per una più equa suddivisione dei compiti di assistenza e cura familiare. Dare e garantire alle donne il lavoro significa anche garantire loro una indipendenza economica ed una autonomia che nella maggior parte dei casi, quando non c’è, induce le stesse a tollerare in silenzio, tra le mura domestiche, maltrattamenti e violenza. Da qui l’invito della Lembo alle altre Istituzioni di riconsiderare l’importanza che le pari opportunità e la non discriminazione giocano per l’affermazione dei diritti delle donne e non solo, ma di tutti i soggetti deboli, e di non consentire più di relegarle a questioni delle donne! La nuova programmazione regionale 2014-2020 può essere una grande opportunità affinchè il Molise si possa rivendicare che esiste!

Giuditta Lembo

Commenti Facebook