Liberaluna Onlus: la modernità tra stereotipi e sessismo


Oggi insieme a voi vorrei riflettere su un termine che sentiamo quasi quotidianamente e ovunque, dai social media ai bar che frequentiamo abitualmente: “sessismo”.
Sessismo, è un termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni sessanta per indicare l’atteggiamento di chi, sia esso uomo o donna, tende ad attuare una discriminazione nei confronti delle donne, sia nel campo professionale che in quello culturale, sociale o interpersonale.
Però se partiamo dalla definizione generica possiamo dedurre che il linguaggio e i comportamenti sessisti appartengono sia alle donne che agli uomini.
Infatti, dal rapporto Onu dell’Un Development Programme (Undp) emergono dati che ci dovrebbero far riflettere. La ricerca, basata su un indice che misura il modo in cui le credenze sociali ostacolano l’uguaglianza di genere in settori come la politica, il lavoro e l’istruzione, messa a punto elaborando dati
raccolti in 75 Paesi, dice che il 91% degli uomini e l’86% delle stesse donne coltiva tuttora almeno un elemento di “pregiudizio” verso l’universo femminile.

Pertanto, noi donne dovremmo chiederci perché mentre lottiamo per le pari opportunità e cerchiamo di abbattere certi comportamenti, siamo a volte le prime ad avere forti pregiudizi nei confronti di altre donne?
Ma partiamo dal principio, ovvero dagli stereotipi di genere, che sono tutti quei pregiudizi che portano a molti comportamenti sessisti.
Gli stereotipi sono una serie di convinzioni rigide ed ipergeneralizzate, che riguardano le differenze tra uomo e donna ed i ruoli che ciascuno di loro riveste. In poche parole, gli stereotipi di genere, sono tutti quei comportamenti che la società si aspetta dagli uomini e dalle donne.
Quindi in base a questo, per esempio, le donne sarebbero più portate per mantenere le relazioni sociali e prendersi cura degli altri, mentre gli uomini vengono visti come indipendenti, competitivi e tendenti all’autoaffermazione. Le donne sarebbero, per natura, dolci e delicate, mentre gli uomini forti e sicuri.
Oppure alle donne non interessa lo sport, la politica o i videogiochi; le donne sanno cucinare e sono portate per i lavori di casa; le donne non hanno abilità tecniche, non sanno guidare, non hanno senso dell’orientamento e non amano le attività all’aperto. Gli uomini, dal canto loro, amano le auto; giocano ai videogames e amano lo sport; gli uomini sono disordinati e non sanno cucinare; sono bravi nelle materie scientifiche e non sono interessati alla moda. Ma tutto questo appare estremamente riduttivo e non rispecchia, in alcun modo, la complessità della vita e delle personalità di uomini e donne.
Gli stereotipi di genere, per prima cosa, contribuiscono al mantenimento di posizioni e ruoli previsti dalla società, dal momento che la divisione culturale del lavoro viene percepita non solo come giusta, ma anche come naturale e inevitabile. In secondo luogo, poi, questi rendono più difficile, per le donne, allontanarsi da un sistema di relazioni in cui agli uomini viene attribuita competenza, mentre alle donne no.
I dati analizzati, dal punto di vista culturale si potrebbero leggere pensando a quanto noi donne influenziamo la società al mantenimento di tutti quegli stereotipi di genere che abbiamo elencato. (es. una mamma che dice alla figlia “non metterti la minigonna perché sennò non trovi un fidanzato che ti prenda seriamente” oppure una donna che vede un’altra donna in abbigliamento succinto e commenta che potrebbe essere un’istigazione alla violenza). Pertanto anche le donne hanno comportamenti sessisti e stereotipati, in relazione ad altre donne e agli uomini. (es. alcune donne si aspettano spesso che gli uomini le proteggano e che le sostengano materialmente).

Come evidenziato dalla nota di Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, un altro esempio di una donna , Franca Leosini che durante la trasmissione Storie Maledette, in prima serata TV, ha scaricato un concentrato di insinuazioni, stereotipi sessisti, giudizi moralistici, colpevolizzanti, su Sonia Bracciale, condannata a 21 anni di carcere e 2 mesi, come mandante dell’omicidio del marito che per anni l’ha riempita di botte.
Purtroppo noi donne dobbiamo continuare a combattere questo fenomeno così diffuso e per farlo dobbiamo provare a modificare gli stereotipi che ci vengono proposti, anche attraverso le pubblicità ed i messaggi televisivi.
Prendiamo la tanto discussa applicazione “Immuni” al centro delle polemiche per le sue icone sessiste in maniera talmente potente da essere modificata con una nuova versione dove i ruoli sono invertiti ed è l’uomo ad accudire il bambino e la donna lavora al pc, mentre alla sua uscita era lo stereotipo per eccellenza: lei che tiene in braccio il figlio, lui chino sul computer che lavora.
Molti hanno criticato la foto utilizzata definendola decisamente “poco attuale” e decisamente “sessista”.
Ma quando una pubblicità può essere definita sessista? Qual è il limite da non superare? In realtà, sarebbe più corretto parlare di più forme di sessismo: esso può variare dalla mera mercificazione del corpo della
donna, riducendola a puro oggetto del piacere maschile, alla stereotipizzazione del ruolo che le donne
ricoprono nella società, siano queste madri e casalinghe o segretarie d’ufficio.
Ma gli stereotipi non sono solo al femminile, la pubblicità sessista continua a rappresentare l’uomo nelle vesti del macho e del professionista. Le donne sono madri, mogli, casalinghe. Attorno a loro ruota la promozione
dei prodotti per la casa e per l’infanzia. Gli uomini, dal canto loro, non puliscono, non stirano, non lavano e
sono persino impacciati coi propri figli.
Sembrerebbe giunto il momento in cui la rappresentazione mediatica rispecchi realmente gli uomini e le donne, abbattendo ogni stereotipo. Il problema vero, infatti, non è solo in queste immagini, ma è una cultura che, nonostante le tante battaglie, resta ancora oggi colonizzata da stereotipi sessisti e obsoleti.
Pensiamo anche solo al linguaggio che usiamo tutti, uomini e donne, ogni giorno. Capita a tutti di essere sessisti parlando e, il più delle volte, nemmeno ce ne rendiamo conto.
Un banale “donna al volante pericolo costante” sta avvalorando l’idea che le donne non siano capaci di guidare, anche se solo un quarto degli incidenti stradali è causato da donne, mentre i tre quarti sono causati da maschi. Per la precisione parliamo di quegli incidenti imputabili a colpe dei conducenti: il 26,6% è causato da donne, mentre il 73,4% da uomini (La Repubblica). Del resto, “chi dice donna dice danno”, lo sanno tutti.
Oppure ancora “essere una donna con gli attributi”: perché una caratteristica propriamente del sesso maschile dovrebbe rendere una donna più “forte”? Ma anche di contro “non fare la femminuccia”, oppure “gli uomini non piangono”, esprimono stereotipi che non fanno altro che dividere Uomini vs. Donne.
Forse il punto è proprio questo: la divisione, la contrapposizione. Gli uomini vengono da Marte mentre le donne vengono da Venere… forse è vero, forse no. È evidente che c’è chi eccelle in un campo e chi in un altro, ma di certo non possiamo credere che sia solo un fatto di cromosomi, di “XX” o “XY”.
Bisognerebbe sempre Ri-conoscere agli uni e agli altri le caratteristiche personali che vanno al di là dell’essere uomo o donna in quanto maschio e femmina, perché la diversità possa diventare luogo di valorizzazione e non di conflitto o discriminazione.


Valeria Mottillo, Assistente sociale del centro antiviolenza Liberaluna

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