La sfida per il cambiamento è nazionale ed è alternativa al PD senza se e senza ma

Ho vissuto sulla mia pelle il mutamento genetico del PD che da formazione politica strutturata, aperta ed inclusiva, si è progressivamente trasformato in un aggregato di potere con una catena di comando che non tollerava perdite di tempo in confronti tra posizioni diverse. Le riunioni lunghe, articolate e profonde del preistorico Comitato Centrale del PCI sono state sostituite in modernissimi tweet mattutini del segretario nazionale. Allinearsi, credere, obbedire e tacere, senza coltivare dubbi, o avanzare proposte, chiedere chiarimenti e meno che mai sollecitare riunioni di organi di direzione del partito. In Molise un’Assemblea Regionale del PD avviata il 9 gennaio 2016 sulla valutazione politica di metà legislatura si è svolta a maggio 2017 ed ha trattato l’ipotesi di indire o meno nuove primarie per le prossime regionali. Sbaglia però chi pensa che questo problema sia una devianza molisana. Il tema si pone ovunque, e ha a che vedere con la nuova idea di partito elaborata da Matteo Renzi e dai suoi esperti di immagine, ovvero una formazione leggera, che cavalca l’antipolitica e si organizza sul territorio con comitati elettorali che ruotano intorno alle figure forti che amministrano le istituzioni.  La sfida per il cambiamento non è e non può essere un fatto locale, ma necessita di un’analisi sul blocco di potere che si è strutturato a Roma negli ultimi anni tra Denis Verdini, Angelino Alfano, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Un aggregato che ha approvato il Jobs Act per destrutturare i diritti del lavoro, ha ridotto le coperture per la sanità pubblica in favore della sanità convenzionata privata, ha riformato in negativo la scuola, ha innalzato a 67 anni l’età pensionabile, ha tolto le tasse sulla case dei ricchi, ha abbandonato il Sud al proprio destino, ha  erogato bonus a neomamme e studenti a prescindere dal reddito, ha dimezzato i fondi ai Patronati e ai Caaf, ha soppresso di fatto le Province, ha potenziato il ruolo della CONSIP su megappalti nei servizi della Pubblica Amministrazione, ha agevolato la gestione privata dell’acqua pubblica e le imprese produttrici di energia interessate a trivellazioni sia a terra che entro le 12 miglia dalla costa, ha finanziato le banche dissestate e tagliato i servizi sociali, i distacchi sindacali, i fondi per le case popolari, per la sicurezza nelle scuole e per la manutenzione delle strade. Il blocco di potere nazionale che tutela macro-interessi di simili proporzioni, sostiene ovviamente dei governi regionali disposti ad allinearsi a queste pratiche. E’ stato il Governo Renzi-Gentiloni a trasformare il Piano Sanitario del Commissario ad acta in legge nazionale, e a non impugnare la legge regionale sulla gestione del servizio idrico integrato, solo per rimanere agli ultimi eventi più significativi. A Roma fa comodo disporre a proprio piacimento del futuro dei territori, per questo sostiene a spada tratta chi si allinea e stronca che dissente. Chi si propone di costruire un progetto politico alternativo, da sinistra o nella vecchia accezione del centrosinistra ulivista, non può che schierarsi con nettezza su posizioni opposte a quelle delle diverse sfumature di destra che vanno dal PD a Forza Italia. In assenza di una simile chiarezza sul piano dei contenuti, delle politiche e dei programmi, si rimane prigionieri della tattica privandosi di un orizzonte di ideali e di una strategia di medio-termine.

Michele Petraroia

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